BW&BF

mercoledì 30 aprile 2014

Lo hobbit - J. R. R. Tolkien (1937)

"Da Thorin e Compagnia a Bilbo, lo Scassinatore, salute e salve! Ti ringraziamo sinceramente per l'ospitalità e accettiamo con gratitudine la tua offerta di prestarci la tua assistenza professionale. Questi sono i termini: pagamento in contanti alla consegna, fino, ma non oltre, a un quattordicesimo del guadagno netto totale (se ce ne sarà); tutte le spese di viaggio assicurate in ogni caso; spese funebri a carico nostro o dei nostri rappresentanti, se se ne presenterà l'occasione e la questione non verrà sistemata altrimenti."
Thorin & Co.

TRAMA
La tranquilla e monotona vita di Bilbo Baggins, uno hobbit della Collina, viene all'improvviso scombussolata quando riceve l'inaspettata visita dello stregone Gandalf e di ben tredici nani, tra cui Thorin Scudodiquercia "figlio di Thrain, figlio di Thror, Re sotto la Montagna". Confuso da questa inaspettata combriccola, Bilbo si trova non solo ad offrire loro té e torte, ma anche ingaggiato suo malgrado come Scassinatore per una pericolosa ma altrettanto affascinante avventura.
Da anni infatti l'enorme tesoro di Thror, che ora spetterebbe legittimamente a Thorin, è nelle grinfie del malvagio drago Smaug, che vive nella montagna da cui ha scacciato i nani; ebbene, il coraggioso Re ha deciso che è giunta l'ora di riprendersi ciò che è suo di diritto, ed ha promesso ai suoi tredici aiutanti (i dodici nani Balin, Dwalin, Fili, Kili, Dori, Nori, Ori, Oin, Gloin, Bifur, Bofur e Bombur più Bilbo) di dividere il tesoro in quattordici parti uguali, ricompensa che farebbe gola a molti.
Ma ancora più che per il tesoro, il motivo segreto che spinge Bilbo ad accettare è un altro, che risiede nel suo DNA: egli è infatti un Tuc da parte di madre, e come tutti sanno i Tuc sono attratti dall'avventura!
La strana combriccola parte quindi per riprendersi il tesoro: dovranno però affrontare terribili pericoli, come troll, orchi, Mannari e, non da ultimo, il ferocissimo Smaug.
Ce la farà il povero hobbit a tornare nel suo buco hobbit a Sottocolle?

RECENSIONE
Divenuto famoso anche ai non amanti del genere in questi ultimi due anni grazie ai primi due capitoli dell'omonima trilogia di Peter Jackson, Lo hobbit è talvolta considerato il fratello minore del ben più popolare Signore degli Anelli. Questa considerazione non mi trova però affatto d'accordo: innanzitutto perché senza il primo non ci sarebbe il secondo. Ne Lo hobbit infatti Tolkien dà vita a tutta una serie di personaggi e di avvenimenti da cui dipendono altrettanti personaggi ed avvenimenti ne Il Signore degli Anelli.
In secondo luogo trovo assolutamente logico e plausibile che proprio durante la stesura del primo dei due romanzi l'autore cominciò ad avere idee riguardo al secondo, che Tolkien infatti iniziò a scrivere proprio nel 1937, quando l'altro venne pubblicato.
Al di là dei paragoni comunque, Lo hobbit ha tutte le carte in regola per essere definito, se non un capolavoro, comunque un'ottima opera: fantasia, una trama avvincente, linguaggio semplice da risultare accattivante sia agli adulti che ai bambini, personaggi perfettamente caratterizzati (voglio solo evidenziare quanto sia difficile riuscire in questa impresa quando si hanno ben quindici personaggi principali, di cui però dodici, se si secludono Bilbo, Gandalf e Thorin, estremamente simili tra loro); ma anche, com'è tipico di Tolkien, una Terra "inventata" (Arda, e nello specifico la Terra di Mezzo) e soprattutto una lingua "inventata" (ricordo che in realtà è partendo proprio dalla lingua che lo scrittore ha sentito la necessità di creare popoli per essa).
Ad integrare e rendere ancora più godibile la storia, almeno nella nostra edizione, sono presenti anche le illustrazioni di Alan Lee, molto belle ed apprezzabili anche da un adulto. Non posso invece fare paragoni con edizioni precedenti, perché purtroppo possediamo solo questa versione piuttosto recente, ma ho trovato comunque eccellente la nuova traduzione della nostra edizione, a cura della Società Tolkeniana Italiana, che, nel pieno rispetto della filosofia filologica del professore di Oxford, è riuscita a mantenere in rima le canzoni e le poesie che numerose si trovano tra le pagine dell'opera, pur mantenendole leggere, sensate ed addirittura (quasi) sempre rispettando la metrica.
Lo hobbit è quindi un libro che consiglio vivamente a chiunque, di qualunque età, poiché è talmente completo da riuscire a soddisfare le esigenze letterarie, se non di tutti, sicuramente di molti.

BW

Nella nostra libreria:
J. R. R. Tolkien
Lo hobbit. Un viaggio inaspettato (The Hobbit or There and Back Again)
ed. Bompiani
410 pag.
traduzione di Caterina Ciuferri in collaborazione con Paolo Peron per la Società Tolkeniana Italiana
illustrazioni di Alan Lee

martedì 29 aprile 2014

Crash - J.G. Ballard (1973)

"Cento metri indietro, sulla banchina, era ferma una macchina americana impolverata. Il guidatore mi osservava attraverso il parabrezza infangato, le ampie spalle inarcate sotto lo stipite della portiera. Mentre attraversavo la strada, sollevò una macchina fotografica munita di teleobiettivo e mi osservò attraverso l'oculare."
James Graham Ballard

TRAMA
Il narratore, il regista pubblicitario James Ballard, viene coinvolto una sera in un grave incidente automobilistico dal quale esce con le gambe spezzate, ma vivo. Nell'altra macchina coinvolta nello schianto, viaggia una coppia di coniugi: lei si salva, mentre lui muore sul colpo. Da questo istante la vita ed il modo di rapportarsi con essa da parte di Ballard sono destinati a mutare totalmente.
Per tutta la durata della riabilitazione infatti, ed anche dopo, la sua mente si riempie di fantasie pornografiche malate riguardanti la moglie Catherine, la sua segretaria Karen, oppure l'amica Renata, in un vortice di ossessioni sempre più estreme. Poi, una volta dimesso dall'ospedale, arriva al punto di conoscere Helen Remington, la vedova dell'uomo morto nell'incidente, ed iniziare con lei una relazione a scopo esclusivamente fisico. Ed è a questo punto che Ballard si accorge che c'è un uomo inquietante che lo segue, ed assiste con interesse ai suoi accoppiamenti, i quali avvengono sempre in auto. Quest'uomo si rivela essere Robert Vaughan, scienziato televisivo già reduce da uno spaventoso incidente in moto che gli ha lasciato diversi segni, e che era già stato notato anche sul luogo dello schianto che ha visto protagonista lo stesso Ballard. Il narratore entra così a far parte della cerchia di Vaughan, composta da un gruppo di persone che ricavano eccitazione sessuale dal mischiare morbose perversioni sessuali che riguardano vittime di incidenti e feticismo verso specifiche parti delle automobili.

RECENSIONE
Sicuramente non si tratta di un libro facile, poco ma sicuro, ma trovo tuttavia che Crash sia senza dubbio un libro molto interessante.
Pubblicato nel lontano 1973, agli albori quindi dell'era tecnologica, credo che rappresenti bene una certa idea di futuro prossimo che allora andava per la maggiore. Una società sempre più disumanizzata, sempre più attratta dalle macchine (intese non solo come automobili) e la deriva incombente, e definitiva, dei sentimenti. Tutto questo sullo scenario di una grande metropoli vista quasi esclusivamente come un groviglio infinito di autostrade, raccordi e parcheggi. 
Ballard descrive queste ambientazioni futuristiche molto bene, narrando in prima persona (pur non essendo un romanzo autobiografico) la storia di una congrega di soggetti sessualmente deviati che si spingono sempre più in là con le proprie fantasie perverse, fino a diventare totalmente dipendenti da esse. Assistiamo così ad un macabro e grottesco girotondo di sangue, lamiere accartocciate, corpi mutilati, sesso corrotto, pornografia e morte. 
Senz'altro leggere Crash oggi non ha assolutamente lo stesso impatto scioccante che ebbe all'epoca della sua prima uscita, peró ritengo che sia ancora dotato di un certo potere destabilizzante. Non a caso uno dei registi più controversi dei nostri tempi, sto parlando di David Cronenberg, ha deciso di trasporlo su pellicola alcuni anni fa. Film che ha suscitato, com'era previdibile, pareri piuttosto discordanti ma sul quale io non posso dare il mio personale giudizio, non avendo mai avuto occasione di vederlo. 
Fatto sta che Crash resta un'opera indubbiamente ostica, non solo per i temi e per le crude descrizioni, ma anche per una certa ripetività assolutamente voluta che rischia di mettere a dura prova i lettori meno abituati a libri così estremi. Una cosa peró è certa: d'ora in avanti quando mi capiterà di giungere sul luogo di un incidente, credo proprio che mi verrà spontaneo controllare che in mezzo alla folla non ci sia un losco individuo in jeans e giacca di pelle che cerca di scattare foto di nascosto.

BF

Nella nostra libreria:
J.G. Ballard
Crash (Crash)
ed. Universale Economica Feltrinelli
197 pag.
traduzione di Gianni Pilone Colombo



lunedì 28 aprile 2014

Il diario del vampiro: Il risveglio - Lisa Jane Smith (1991)

"5 settembre (in realtà prime ore del 6 settembre, verso l'una di notte)

Caro diario,
dovrei tornare subito a letto. Solo pochi minuti fa mi sono svegliata pensando che qualcuno stesse gridando, ma ora la casa è silenziosa. Stanotte sono successe così tante cose strane che mi sembra di avere i nervi a pezzi."
Dal diario di Elena Gilbert

TRAMA
Elena Gilbert è la ragazza più bella e amata del liceo: i ragazzi vorrebbero averla, le ragazze vorrebbero essere lei.
Il primo giorno di scuola, il primo giorno dell'ultimo anno, scopre che è arrivato un nuovo, misteriosissimo e bellissimo ragazzo. Si chiama Stefan Salvatore, è italiano, e incredibilmente sembra non voler legare con nessuno, nemmeno con lei!
Aiutata dalle fidate amiche del cuore, Meredith e Bonnie, ma anche dall'ex ragazzo nonché migliore amico Matt, forse l'unico che è riuscito a legare almeno un po' con Stefan, deve a tutti i costi trovare un modo per farsi notare dal bel tenebroso. 
Ma quale sarà mai il motivo di tutto questo mistero?

RECENSIONE
Lui, lei e l'altro. Ma anche l'altra. E l'altro ancora.
Eh sì, quando Dawson (pardon, Stefan) arriva al liceo Robert E. Lee avviene improvvisamente una sequenza di fatti impensabile ed originale, come la bellissima reginetta che si innamora di lui, ma lui la respinge, e di lei è innamorato anche il suo migliore amico, ma lei non pensa più a lui...
Davvero, se siete alla ricerca di una trama del genere vi consiglio piuttosto un Harmony, probabilmente sarebbe più interessante. In questi anni decine e decine di libri sono stati scritti sfruttando questo filone chiamato urban fantasy (che a mio avviso di fantasy non ha nulla, ma proprio nulla, così come non è nemmeno narrativa horror). Eppure hanno successo. Personalmente non me lo spiego.
A parte la pateticità della trama, praticamente inesistente, e delle ovvietà in essa contenute, andiamo ad analizzare i personaggi. La cosa che più mi disturba è la visione del vampiro, come ho già scritto in passato, "che non è più un essere dannato, ma dannatamente bello". E buono. Sì, perché succhiare il sangue agli esseri umani è una cosa che non si fa, è sbagliata, quindi bisogna nutrirsi di animali, o tutt'al più succhiare appena appena, senza uccidere. E la luce del sole? Come fa una creatura della notte a sopravvivere di giorno, tanto da giustificare la sua presenza all'high school? Semplice: basta un banalissimo anello, un po' come mettere le galosce quando piove per non bagnarsi i piedi.
Inoltre ho trovato piuttosto offensivi certi cliché cuciti addosso a Stefan, come il suo parlare mezzo in italiano, "Signora, signora!"... Finché c'era avrebbe potuto anche esclamare "Mamma mia!", "Ciao bella" o "Baciamo le mani!", il tutto mentre mangiava gli spaghetti (rigorosamente alla salsa marinara con le polpette) e ascoltava il mandolino.
Vogliamo poi parlare della totale ignoranza riguardo la storia? O sono scema del tutto io, o nella Firenze del tardo XV secolo non giocavano né a football (al massimo al calcio fiorentino, ma è un'altra cosa) né tantomeno a cricket.
Insomma, ho voluto leggere questo libro perché sono convinta che non si possano avere pregiudizi di fronte a nessun genere e nessun autore. Ora che l'ho letto però il mio parere l'ho dato, e sicuramente non affronterò nessun altro libro della Smith.
Non voglio essere però solo distruttiva, perciò voglio concludere elencando tre aspetti positivi de Il diario del vampiro: Il risveglio. Il primo è che comunque si legge in fretta, bastano appena un paio d'ore. Il secondo è il prezzo dell'edizione della nostra libreria, appena 99 centesimi, per cui non ci si strappa i capelli per aver speso una follia per un libro così brutto. Il terzo è una breve citazione della poesia di un grandissimo scrittore, uno che davvero ha prodotto veri libri del terrore e dell'orrore: si tratta dei primi versi di "A Elena" ("To Helen") di Edgar Allan Poe.

BW

Nella nostra libreria:
Lisa Jane Smith
Il diario del vampiro: Il risveglio (The Vampire Diaries: The Awakening)
ed. Newton Compton Editori
127 pag.
traduzione di Valeria Gorla

 

domenica 27 aprile 2014

Praticamente innocuo - Douglas Adams (1992)

ATTENZIONE!!! Il libro di cui stiamo per parlare è il quinto della Trilogia in cinque volumi. Se non avete letto il precedente, intitolato Addio, e grazie per tutto il pesce, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.
  

"Nel corso della vita Arthur Dent era stato in postacci infernali, ma non aveva mai visto uno spazioporto con un cartello che diceva: 'Meglio viaggiare abbattuti e depressi che arrivare qui'. Il terminal salutava i visitatori in arrivo con una fotografia del presidente EMo' colto in un attimo in cui sorrideva. Era l'unica foto che si potesse trovare di lui, ed era stata scattata poco dopo che si era sparato, per cui nell'immagine, pur ritoccata con una certa cura, il sorriso appariva abbastanza agghiacciante. Un lato della testa era stato ridisegnato a carboncino. Non si era potuta sostituire la foto perché non si era potuto sostituire il presidente. L'unica aspirazione che la gente avesse mai avuto su quel pianeta era quella di andarsene."
Douglas Noël Adams

TRAMA
L'ultimo libro si apre con un'assenza: Fenny, colei che aveva vissuto la storia d'amore con Arthur e sulla quale era incentrata gran parte di Addio, e grazie per tutto il pesce, non c'è più. Non si sa più nulla di lei, è semplicemente sparita. E questo fa pensare che forse Adams avesse in mente un ulteriore capitolo della Guida che, purtroppo, non ha fatto in tempo a sviluppare.
Arthur dal canto suo, perduto nella galassia, è alla ricerca di un mondo in cui vivere che possa ricordargli almeno un po' la cara, vecchia Terra. E pare averlo trovato su Lamuella, pianeta abbastanza simile al nostro sotto molti aspetti, a parte la totale assenza di tecnologia. Qui il nostro stoppista spaziale si cimenta nella nobile arte del Paninaio; prepara cioè panini, specialità del tutto sconosciuta agli abitanti di Lamuella, i quali iniziano a rispettarlo ed idolatrarlo cone se fosse il custode di chissà quali arcani segreti.
Ford Prefect invece è alle prese con una serie di grossi cambiamenti editoriali che stanno avvenendo nella sede della Guida. La proprietà è cambiata e così il nostro amico viene di colpo degradato alla sezione enogastronomica, col deprimente compito di limitarsi a recensire locali e ristoranti. Ma c'è qualcosa che non torna e vuole vederci chiaro, così si introduce furtivamente all'interno degli uffici del nuovo direttore per scoprire una verità sconvolgente.
Trillian infine si è sdoppiata. Già, perché è bene ricordare che queste avventure si svolgono anche in svariati universi paralleli, pertanto, in uno di questi, la brillante studentessa di astronomia Tricia McMillan non se ne è mai andata nel bel mezzo di una festa, circa diciassette anni prima, con l'alieno a due teste Zaphod Beeblebrox. Così facendo ha abbandonato la carriera accademica perché "non puoi essere un astrofisico serio se hai conosciuto qualcuno che viene da un altro pianeta", ed ha intrapreso la professione di giornalista televisiva, senza aver mai conosciuto Arthur Dent.
Trillian, al contrario, si ricorda eccome di Arthur, ed anzi lo sta cercando con urgenza in quanto ha una bella sorpresina per lui... Quale?

RECENSIONE
Delusione. Rammarico. Non vorrei, ma è così.
Purtroppo mi vedo costretto a dire che l'ultimo capitolo della Guida non è assolutamente all'altezza dei precedenti. Non so, forse era passato troppo tempo dall'ultimo episodio, forse Adams aveva perso un po' di freschezza, probabilmente non era più lo stesso scrittore (e la stessa persona, è comprensibile ed inevitabile) che aveva iniziato questa straordinaria e strampalatissima saga ben quattordici anni prima, però tutto ciò finisce col gravare tantissimo su tutta la trama.
Che stavolta risulta fiacca, dall'andamento incerto e macchinoso e con ben pochi sprazzi di quella meravigliosa genialità alla quale il buon vecchio Douglas ci aveva abituati.
Anche l'umorismo appare diverso, ed ha un qualcosa di stantìo, quasi di forzato. Insomma, a mio giudizio manca proprio la spontaneità, e quella fiammella del genio che era una costante di tutti i volumi precedenti pare proprio essersi affievolita.
Peccato davvero, chiudere così un ciclo che rappresenta una delle cose più brillanti, divertenti ed originali che io abbia mai letto.
È ormai assodato che Adams stesse cercando di rinnovare l'immaginario della Guida e che avesse in programma almeno un altro libro (non si spiegano altrimenti le numerose ed eccellenti assenze di alcuni personaggi centrali), magari un ulteriore capitolo ci avrebbe forse aiutati a vedere in modo diverso anche questo.
Anche perché lo scrittore inglese, e ne sono una prova i numerosi scritti incompiuti che ha lasciato, era ancora in grado di creare storie "alla Adams", e penso che sarebbe anche riuscito a farci dimenticare questo passo falso.
Purtroppo però possiamo solo limitarci alle ipotesi, perché non lo sapremo mai.
E questa è senza dubbio la cosa che, più di tutte, fa enormemente dispiacere.

BF

Nella nostra libreria:
Douglas Adams
Dalla raccolta "Guida galattica per gli autostoppisti - il ciclo completo"
Praticamente innocuo (Mostly Harmless)
ed. Oscar Mondadori
136 di 645 pag.
traduzione di Laura Serra


 

sabato 26 aprile 2014

Come Dio comanda - Niccolò Ammaniti (2006)

"Non parlare di libertà. Tutti sono bravi a parlare di libertà. Libertà di qua, libertà di là. Ci si riempiono la bocca. Ma che diavolo te ne fai della libertà? Se non hai una lira, un lavoro, hai tutta la libertà del mondo ma non sai cosa fartene. Parti. E dove vai? E come ci vai? I barboni sono i più liberi del mondo e muoiono congelati sulle panchine dei parchi. La libertà è una parola che serve solo a fottere la gente. Sai quanti stronzi sono morti per la libertà e nemmeno sapevano che cos'era?"
Rino Zena


TRAMA
Ambientato a Varrano, immaginaria cittadina nel cuore del nord est più agiato ed industrializzato, Come Dio comanda racconta la storia di un padre vedovo, Rino Zena, disoccupato, alcolista, violento e dalle idee vagamente filo-naziste, ed il figlio tredicenne Cristiano, insicuro e alla ricerca dei primi, timidi approcci con l'altro sesso.
I loro unici amici sono altri due emarginati: Corrado Rumitz, detto "Quattro Formaggi" a causa della sua passione per quel tipo di pizza, è un docile ed innocuo ragazzone che soffre di disturbi psichici, mentre Danilo Aprea è un uomo divenuto schiavo dell'alcool in seguito ad una grave tragedia che lo ha colpito.
Insieme passano le loro giornate vagabondando qua e là alla ricerca di qualcosa da fare, per cercare di sfuggire alla noia che avvolge la vita di un piccolo centro di provincia. Ed è proprio per noia e per cercare di dare una svolta alle loro vite che, una sera, decidono di tentare una rapina ad uno sportello bancomat. Una cosa facile, sicura e senza far male a nessuno.
Almeno fino a che, con una serie di colpi di scena tragicamente beffardi, il destino (o chi per lui) non ci mette lo zampino.

RECENSIONE
Vincitore del Premio Strega 2007, Come Dio comanda ha ricevuto alterni giudizi dalla critica specializzata: chi lo ha esaltato e chi lo ha stroncato. A me, per quel che può valere, non è per nulla dispiaciuto.
Il libro narra innanzitutto del legame fortissimo tra un padre tutt'altro che esemplare, ed il figlio adolescente. Soprattutto parla della paura, fortissima, che qualcuno (o qualcosa) possa separarli. Tutto questo nonostante Rino sia un personaggio non proprio raccomandabile e che spesso tratti abbastanza duramente il ragazzo, costringendolo anche a compiere azioni stupide o pericolose, a suo modo di vedere per abituarlo alle asprezze della vita. E Cristiano, a dispetto di tutto questo, continua a voler bene a suo padre e a rispettarlo profondamente. 
Sullo sfondo, un piccolo comune dove regna il benessere, con le sue fabbriche, la sua tangenziale e l'immancabile centro commerciale, un posto come tanti altri nel Nord Italia, dove però la gente è sempre più lobotomizzata dalla televisione e dai suoi falsi miti e dove il rapporto umano ormai sta scomparendo quasi del tutto. Alla fine infatti, Ammaniti fa capire che probabilmente le uniche persone che abbiano qualche valore, seppur distorto, sono proprio gli sbandati del paese, coloro che da tutti vengono considerati i falliti.
I personaggi poi, a mio avviso, sono ben caratterizzati e presentano un alto livello di umanità, e specialmente quando lo scrittore romano racconta la sfortunata e penosa storia di Danilo, è difficile rimanere insensibili. Un altro personaggio minore ma tratteggiato molto bene è l'assistente sociale di Cristiano, Beppe Trecca, un individuo piuttosto squallido e perfettamente plausibile nella nostra società, una figura di adulto mai cresciuto completamente, pieno di complessi, sensi di colpa e insicurezze.
Su tutto ciò, aleggia inevitabilmente una forza superiore, una divinità quasi biblica nella sua spietatezza, e che in una notte di tempesta decide di cambiare per sempre l'esistenza di quasi tutti gli attori principali di questa storia, assegnando loro un copione del tutto inaspettato.
So che a molte persone Come Dio comanda non è piaciuto, e leggendo alcune critiche sono anche riuscito a immaginare come mai ciò sia potuto succedere. Questo è un libro che, pur non essendo un capolavoro assoluto, è destinato comunque a dividere nettamente in due i lettori. Probabilmente per i temi affrontati, per il modo in cui è scritto e forse, dico io, anche per qualche piccolo pregiudizio nei confronti dell'autore. Che magari non sarà Dickens, ma che in questo romanzo secondo me è riuscito a costruire una trama coinvolgente e molto credibile, che fila via liscia senza annoiare e che, cosa che non guasta mai, fa anche riflettere. 
Ognuno è giusto che abbia la propria opinione, e guai se non fosse così, però Come Dio comanda a me è piaciuto. Ed è più che sufficiente per parlarne bene.

BF

Nella nostra libreria:
Niccolò Ammaniti
Come Dio comanda
ed. Mondadori
425 pag.






venerdì 25 aprile 2014

Dal libro al film: La guerra dei mondi - H.G. Wells (1897)

ATTENZIONE!!! Questo post contiene spoiler sul libro La guerra dei mondi e sui film tratti da esso. Se non avete letto il libro e/o visto i film, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.
 

"Alla fine del XIX secolo nessuno avrebbe creduto che le cose della terra fossero acutamente e attentamente osservate da intelligenze superiori a quelle degli uomini e tuttavia, come queste, mortali; che l'umanità intenta alle proprie faccende venisse scrutata e studiata, quasi forse con la stessa minuzia con cui un uomo potrebbe scrutare al microscopio le creature effimere che brulicano e si moltiplicano in una goccia d'acqua."
Herbert George Wells

IL LIBRO
Famosa forse più per gli adattamenti, radiofonici e cinematografici, che per il romanzo originale, La guerra dei mondi venne pubblicata nel lontano 1897, molto prima che l'umanità acquisisse familiarità con le culture fantascientifica ed ufologica. Anche per questo viene considerata, a ragione, una pietra miliare della sci-fi.
La storia narra dell'invio da parte degli abitanti di Marte di alcune capsule contenenti macchinari e alcuni esseri viventi, le quali atterrano in varie località dell'Inghilterra. Fin dall'inizio gli esseri umani si dimostrano alquanto curiosi di scoprire cosa contengano questi strani cilindri, ma altrettanto immediatamente gli alieni rivelano di avere intenzioni tutt'altro che pacifiche: con uno spaventoso raggio ardente bruciano qualsiasi cosa abbia la sfortuna di capitare loro a tiro.
I terrestri, nonostante questa terrificante premessa, si convincono comunque che non sia necessario alcun tipo di intervento, visto che apparentemente i marziani non sembrano in grado di uscire dalle buche create dall'impatto delle capsule con il terreno. Per sicurezza diverse divisioni dell'esercito britannico raggiungono in osservazione i luoghi dell'impatto; ma gli extraterrestri nel frattempo costruiscono delle ingegnose quanto letali macchine da guerra, i cosiddetti Tripodi. Grazie a questi mezzi riescono in breve tempo ad annientare gran parte della popolazione inglese, che si vede costretta a fuggire e nascondersi per evitare di essere uccisa, o ancor peggio catturata e "succhiata" dagli invasori.
Il tutto viene raccontato in prima persona da un narratore anonimo, un fisico che lavora nella periferia sud occidentale di Londra. Egli quasi subito si ritrova solo, essendosi separato dalla moglie durante la fuga, ed i pochi esseri umani con i quali condivide parte della sua esperienza talvolta rischiano di essere più un ostacolo od una fonte di pericolo per la sua incolumità che un aiuto od una forma di conforto.
Ma quando tutto sembra perduto, ecco che avviene l'impensabile: laddove le tecnologie militari più avanzate hanno fallito, è la Natura a fornire la soluzione per salvare la Terra; i marziani, e con essi la gramigna rossa che stava soffocando tutte le altre piante, soccombono improvvisamente a causa dei bacilli a cui l'uomo e gli esseri viventi del nostro pianeta sono immuni: "mediante il tributo di milioni di morti, l'uomo ha acquistato il suo diritto di vita sulla Terra, ed essa è sua contro chiunque venga per conquistarla."

I FILM
Ancor prima di parlare delle versioni su pellicola de La guerra dei mondi, non si può esimersi dal parlare del celeberrimo sceneggiato radiofonico interpretato da Orson Welles che venne trasmesso negli Stati Uniti dalla CBS il 30 ottobre 1938. Migliaia di ascoltatori infatti, grazie al sorprendente realismo della trasmissione, pensarono ad una vera invasione aliena e, colti dal panico, si riversarono nelle strade causando notevoli disagi ed addirittura diversi morti. L'impatto di tutto ciò sull'immaginario collettivo fu talmente forte che, tre anni dopo, quando ci fu l'attacco di Pearl Harbor, molti americani pensarono che si trattasse solo di uno scherzo.
Quindici anni dopo il famoso sceneggiato di Welles, a guerra conclusa, lo scenario socio-politico mondiale era profondamente diverso: all'America maccartista si contrapponeva una potenza tanto minacciosa quanto sconosciuta da poter essere facilmente paragonata agli abitanti di un altro pianeta: l'Unione Sovietica.
E così dalle brughiere inglesi il regista Byron Haskin trasferì le vicende del suo La guerra dei mondi in una tranquilla cittadina della California meridionale chiamata Linda Rosa.


Del romanzo originale, Haskin prese solamente alcuni elementi, ovvero gli alieni e la causa della loro sconfitta, sacrificando gran parte della trama e dello stesso concetto del libro a favore di una rilettura più adatta ad un pubblico del 1953, che non solo viveva con l'angoscia della guerra fredda, ma che percepiva ancora l'eco del famoso incidente di Roswell del 1947 (tanto che nel film stesso una delle località colpite dagli alieni risulta essere Corona).
Addirittura gli stessi Tripodi spariscono completamente, sostituiti dagli oggetti volanti che in gergo ufologico vengono definiti Manta Ray. Immancabile è poi la classica figura femminile anni '50: la ragazza in gamba ma comunque bisognosa di un figura maschile forte (il protagonista ovviamente) con cui, nonostante le avversità, intreccia una storia d'amore.
Anche se agli occhi di uno spettatore odierno questo classico film di fantascienza presenta ingenuità e trovate che fanno facilmente sorridere, va comunque ricordato che vinse il Premio Oscar per gli effetti speciali, davvero notevoli per l'epoca.
A più di un secolo dal soggetto originale un altro noto regista, affatto nuovo all'argomento extraterrestri, Steven Spielberg, pensò bene di rispolverarne la storia.


Anche in questo caso in realtà la trama è stata profondamente cambiata, per dare spazio alla drammatica storia di un padre divorziato, Ray Ferrier (Tom Cruise), alle prese col difficile rapporto con i figli. I Tripodi vengono riabilitati, anche se stavolta essi sono inspiegabilmente già presenti nelle profondità della Terra, da molto prima che nascesse l'uomo (viene da chiedersi come mai i marziani abbiano aspettato tanto), e Marte si è limitato ad inviare tramite fulmini o scariche elettriche solo i suoi abitanti. Un altro elemento che è stato mantenuto in questo secondo film è la gramigna rossa, simbolo del progredire dell'invasione del pianeta rosso contro il nostro. Un ulteriore particolare che il regista di Cincinnati ha riproposto, seppur modificato, sono alcuni degli esseri umani con cui il protagonista condivide la terribile vicenda. Una delle scene più piene di pathos del libro è quella in cui il narratore si trova intrappolato in una casa circondata dagli alieni insieme ad un curato; quest'ultimo, in preda alla fame, alla sete e soprattutto al terrore, perde totalmente la ragione e, anzichè cercare di non farsi notare, comincia ad urlare attirando su di sè l'attenzione dei mostri e costringendo suo malgrado il protagonista ad ucciderlo. Questa figura viene ripresa da due personaggi nel film: la prima palla al piede è l'insopportabile figlia di Ray (Dakota Fanning), perennemente urlante, anche nei momenti meno opportuni. Il secondo personaggio ha invece un nome completamente sbagliato: ha infatti quello dello scienziato che tra i primi nel libro accorre verso le capsule atterrate e finisce vittima del raggio ardente. Qui invece rappresenta un invasato, probabilmente mezzo matto, convinto di poter sconfiggere gli extraterrestri armato del suo fucile, che quando assiste alla barbara uccisione di un uomo perde del tutto il lume della ragione e anch'egli mette sè, Ray e sua figlia in pericolo urlando. Quest'uomo ricorda anche un altro personaggio del romanzo, un artigliere incontrato più volte dal protagonista, parimenti determinato a non farsi catturare e a tentare di debellare, seppur non da solo, i malvagi invasori.
Nonostante comunque la sceneggiatura sia più fedele all'originale, questa seconda trasposizione l'ho trovata personalmente meno convincente, anche perchè non gli si possono nemmeno perdonare quelle ingenuità di cui abbiamo parlato prima. Va in ogni caso evidenziato che in nessuna delle due versioni il regista ha tenuto conto del significato dell'opera di Wells, cosa che mi pare abbastanza grave. Il romanzo infatti è una metafora e conseguente critica del darwinismo sociale e della politica colonialista che imperversava al termine del XIX secolo.
Concludendo, partendo da un capolavoro della letteratura fantascientifica quale il libro dello scrittore inglese, trovo che entrambi i tentativi di adattamento siano stati un fallimento. Ciò non significa necessariamente che siano brutti film, per quanto, come ho già detto, ho personalmente trovato noioso e tutt'altro che interessante la versione di Spielberg; significa però che forse avrebbero dovuto avere un altro titolo, e non La guerra dei mondi.


BW

Nella nostra libreria:
Herbert George Wells
La guerra dei mondi (The War of the Worlds)
ed. Mursia 
185 pag.
traduzione di Adriana Motti

giovedì 24 aprile 2014

Come si diventa re - Jan Terlouw (1971)

"Signor Retto, i vostri Ministri hanno avuto diciassette anni per trovare un nuovo re. Non è ancora successo niente. Sono venuto a chiedervi che cosa bisogna fare per diventare Re di Katoren."
Stark

TRAMA
Da ben diciassette anni, quasi diciotto, Katoren è un regno senza re: l'ultimo, buono ed amato da tutti, è morto senza lasciare eredi, ed i sei Ministri che fungono da reggenti non sono mai riusciti a trovare un successore.
Un giorno però Stark, il diciassettenne nipote di Gervaso, il maggiordomo di palazzo, chiede udienza ai sei anziani con una semplice domanda: cosa deve fare per diventare lui re. I Ministri, sbigottiti, infastiditi ed anche un po' offesi da questa richiesta decidono di stabilire sette imprese impossibili da compiere e di assegnarle al ragazzo: solamente superandole egli potrà diventare il nuovo re di Katoren.

RECENSIONE
Come si diventa re è uno di quei libri che io definisco "intelligenti". È intelligente, perché è una fiaba che però anche un adulto può trovare molto godibile. È intelligente perché rivisita un tema classico che più classico non si può (le dodici fatiche di Ercole sono diventate solo sette) ma allo stesso tempo lo modifica rendendolo attuale ed applicato al mondo moderno ed alle sue problematiche. È intelligente perché è scritto in maniera molto scorrevole e piacevole, e queste caratteristiche per il "target di riferimento" di questo libro, ovvero bambini e preadolescenti, sono molto importanti per compensare la mancanza di illustrazioni che può scoraggiare i lettori di quell'età meno appassionati.
Leggendolo oggi non si noterebbe nemmeno che questo libro ha quarantatré anni, anzi qualche maligno potrebbe trovare sospetto che il protagonista si chiami proprio come una delle casate di quella che ultimamente è forse la serie fantasy più popolare, Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Sorpresa sorpresa, Terlouw ha "inventato" Stark venticinque anni prima di Martin.
Scherzi da nerd a parte, dicevo che Come si diventa re è un romanzo attualissimo. Le prove infatti consistono nel risolvere problemi principalmente ecologici, ma anche sociologici, medici ed etici. Ad esempio (non voglio spoilerare, ma vi darò solo qualche elemento per farvi capire meglio cosa intendo) una delle prove potrebbe essere letta come una denuncia al troppo inquinamento; un'altra una riflessione sulle diverse religioni che, pur essendo molto simili tra loro, da millenni si combattono; una terza una condanna alle case farmaceutiche ed alla loro condotta verso i malati. Pur trattando temi simili, però, si tratta sempre di una fiaba per ragazzi; ed ecco allora che spuntano un drago a sette teste (che ricorda molto l'erculea Idra di Lerna), un temibile mago, un trono maledetto (una via di mezzo tra la spada nella roccia ed il trono di spade).
Come ci ricorda anche la quarta di copertina, Come si diventa re ha ricevuto diversi premi; ma indipendentemente da questi riconoscimenti, che a mio avviso a volte sono dovuti a molti fattori tra i quali però non è compresa l'effettiva bontà del libro, è un libro che davvero vale la pena cercare e procurarsi, sia se si hanno figli, sia se l'unico bambino a cui potete leggerlo è quello dentro di voi.

BW

Nella nostra libreria:
Jan Terlouw
Come si diventa re (Koning Van Katoren)
ed. SEI
182 pag.
traduzione di Giancarlo Tarozzi

mercoledì 23 aprile 2014

Colui che sussurrava nelle tenebre - H.P. Lovecraft (1930)

"Affermare che le conclusioni cui sono giunto siano il frutto di un puro e semplice disturbo psichico, e che, come la goccia che fa traboccare il vaso, sia stato questo a farmi abbandonare a precipizio la solitaria fattoria di Akeley, a fuggire nel cuore della notte in una vecchia automobile e ad attraversare le nere colline del Vermont, significherebbe ignorare i dati tangibili dell'esperienza."
Albert Wilmarth


TRAMA
Il professor Albert Wilmarth, insegnante di letteratura inglese presso la Miskatonic University, è anche un appassionato studioso del folklore del New England. In seguito ad alcuni suoi articoli sul giornale locale, che tendono a mettere in ridicolo voci di apparizioni di "strani esseri" nei boschi del Vermont, egli viene contattato dallo studioso Henry Akeley, che afferma di aver avuto un contatto ravvicinato con entità aliene sulle colline del Vermont.
Incuriosito, Wilmarth intrattiene una fitta corrispondenza con Akeley il quale, in una serie di lettere sempre più inquietanti e drammatiche, sostiene che di giorno le creature lo sorvegliano costantemente per mezzo di spie umane, mentre di notte lo costringono a rifugiarsi dentro la sua abitazione, in un luogo isolato tra le foreste. Poi di colpo, Akeley non fa più avere sue notizie fino al giorno in cui Wilmarth, dopo un lungo silenzio, non riceve un'altra lettera dallo studioso, il quale appare notevolmente più calmo e sollevato e che lo invita addirittura a soggiornare nella sua fattoria per fargli conoscere le strane entità aliene, in quanto ha scoperto che in realtà sono assolutamente amichevoli ed animate dalle migliori intenzioni.
Il professor Wilmarth così, decide di partire per il Vermont.

RECENSIONE
Romanzo breve considerato uno dei capolavori assoluti di Lovecraft, Colui che sussurrava nelle tenebre è un'esasperante discesa in un cupo incubo, in una sorta di lucida follia.
Vicenda che anticipa alcuni che saranno i futuri temi che verranno sviluppati in seguito dall'autore del Rhode Island, questo racconto narrato in prima persona dal professor Wilmarth, segue uno schema già colladauto a suo tempo anche da Poe (che Lovecraft letteralmente idolatrava) e cioè quello di inserire nella trama piccoli tasselli di angoscia, poco per volta, in modo di permettere alla paura di farsi gradualmente largo nel lettore, fino ad un'esplosione di cieco terrore.
Un'altra cosa sorprendente di questo racconto, è l'incredibile precisione con la quale vengono descritti alcuni elementi cari all'ufologia mondiale come i presunti "rapimenti alieni", in quanto Lovecraft scrisse queste cose attorno al 1930 e, che voi ci crediate oppure no, di abductions si iniziò a parlare solo negli anni sessanta col famoso caso dei coniugi Hill.
L'ambientazione scelta dal nostro poi, fa il resto. La sua prosa ricca di dettagli e di sfumature, riesce a rendere molto bene lo scenario delle spettrali colline del Vermont al calar delle tenebre, mentre dalla fitta boscaglia sembrano provenire dei lontani mormorii... o forse no... forse è solo suggestione...
Insomma, un grandissimo racconto nel quale l'horror si mischia con la fantascienza e che vi regalerà un colpo di scena finale del tutto pazzesco.
Da leggere assolutamente, possibilmente di notte in un luogo isolato.

BF


Nella nostra libreria:
Howard Phillips Lovecraft
Dalla raccolta "Tutti i racconti 1927-1930"
Colui che sussurrava nelle tenebre (The Whisperer in Darkness)
ed. Oscar Mondadori
57 di 557 pag.
traduzione di Gianna Lonza



martedì 22 aprile 2014

Una stanza chiusa a chiave - Yukio Mishima (1954)

"Fusako distolse lo sguardo e rise. Kazuo le abbracciò le spalle, come sempre. E sentì che si era irrigidita. La sua resistenza lo eccitò. La baciò per la prima volta come avrebbe baciato una donna."
Yukio Mishima

TRAMA
Giovane funzionario del ministero delle finanze giapponese, Kazuo conosce Kiriko, con cui allaccia immediatamente una relazione. La donna è sposata ed ha una bambina, Fusako, di nove anni. La bimba si affeziona "al nuovo zio", tanto da spingere il ragazzo ad andarla a trovare anche quando la madre muore all'improvviso per una malattia cardiaca.
Ha così inizio un rapporto morboso tra i due, incoraggiato dalla taciturna cameriera Shigeya: da una parte la bambina insiste per vedere l'adulto, lo provoca senza probabilmente essere del tutto consapevole del suo atteggiamento verso di lui, ma limitandosi a scimmiottare la madre, e mette il broncio se per un po' Kazuo non la va a trovare; dall'altra l'uomo sente un fortissimo impulso, il desiderio di profanarla, di "lacerarla" e distruggerla, ma allo stesso tempo si trattiene, inorridito da sé stesso, o forse timoroso di venire scoperto.

RECENSIONE
Μέγα βιβλίον, μέγα ϰαϰόν (Mega biblíon, mega kakón), diceva Callimaco. Grande libro, grande male. E lui, che lavorava per la Biblioteca di Alessandria, di grandi libri se ne intendeva.
Ma anche se Una stanza chiusa a chiave è un libro molto breve (appena 83 pagine, introduzione compresa) è un concentrato di Male (con la M maiuscola) e di dolore. Come avrete capito leggendo la trama, già in superficie è evidente, per l'argomento trattato, per gli sconvolgenti sogni che turbano il sonno di Kazuo, ma anche per l'apparente accettazione o quantomeno indifferenza davanti a questo Male da parte del mondo esterno alla coppia Kazuo-Fusako.
Limitarsi a considerare Una stanza chiusa a chiave come il delirante racconto di un pedofilo significherebbe semplicemente non solo non aver capito nulla del romanzo, ma non essersi nemmeno presi la briga di leggere l'introduzione ad esso.
Occorre innanzitutto contestualizzare l'opera: il Giappone del 1954, "appena" uscito dalla guerra, con le macerie ancora fumanti e, soprattutto, l'animo delle persone ancora lacerato. Ecco, "lacerare" è la parola chiave, quella chiave che occorre per aprire la famosa stanza chiusa e sbirciare al suo interno. Mishima descrive i personaggi come alieni, persone estranee tra loro, anche i legami più forti come l'amicizia vengono "lacerati" in un attimo. Un amico di Kazuo si suicida; il ragazzo partecipa al funerale con indifferenza. E ancora: dei colleghi del funzionario, nonostante siano adulti, sono ancora vergini per scelta, perché hanno anteposto la loro riuscita professionale alla creazione non solo di una famiglia, ma addirittura anche solo di un fulmineo legame, tanto breve quanto può durare un rapporto sessuale con una prostituta.
Se si conosce anche solo per nome Mishima non ci si può stupire che "lacerare" sia la parola chiave. Appare piuttosto paradossale il fatto che, per quanto essa venga ripetuta continuamente nel libro, alla fine nella realtà nulla e nessuno venga "lacerato"; l'unico che subisce questo destino, come una beffarda legge del contrappasso, è Mishima stesso, ma non nel libro, nella realtà.
Paragonabile ad un film di Buñuel o Lynch, affermare che Una stanza chiusa a chiave sia un libro pedofilo sarebbe come dire lo stesso di Lolita. Sicuramente però rispetto al romanzo di Nabokov è molto diverso, molto più estremo, per cui mi sentirei di consigliarne la lettura solamente a stomaci forti, e soltanto dopo una minima preparazione ad esso (come ho già detto, almeno la lettura dell'introduzione di Antonio Franchini). Altrimenti si rischia innanzitutto di rimanerne violentemente disgustati (cosa che comunque potrebbe accadere; io stessa ho rischiato di dover interrompere la lettura durante alcune scene che mi hanno particolarmente turbata) e soprattutto di non coglierne il senso. È una lettura che trovo estremamente difficile, per cui prima di cominciare questo post ho comunque voluto guardare un po' cosa si diceva di questo libro sul web, e vi assicuro che la maggior parte dei commenti erano di indignazione, di assoluta incapacità di comprendere come a qualcuno possa piacere ecc. Vero è che molti commenti poi si collegavano anche a Lolita e dicevano lo stesso anche di quel romanzo, ma comunque il disgusto più forte era indubbiamente stato provocato dal libro dell'autore giapponese, non di quello americano.
Da parte mia, pur avendone colto il senso (almeno in parte) non mi trovo nemmeno tra le file di coloro che lo reputano un capolavoro assoluto. Mi ha però incuriosita a tal punto da spingermi in un futuro a leggere altre opere di Mishima.

BW

Nella nostra libreria:
Yukio Mishima
Una stanza chiusa a chiave (鍵のかかる部屋 - Kagi no kakura heya)
ed. Oscar Mondadori
83 pag.
traduzione di Lydia Origlia

   

lunedì 21 aprile 2014

Le avventure di Tom Sawyer - Mark Twain (1876)

"<<Ora so di che si tratta!>>, esclamò Tom; <<É annegato qualcuno!>>
<<Proprio così>>, disse Huck, <<Hanno fatto la stessa cosa la scorsa estate, quando era affogato Bill Turner, sparano con il cannone sull'acqua, e questo fa sì che il morto venga a galla.>> [...]
<<Perdinci! Vorrei potermi trovare là adesso>>, affermò Joe.
<<Io pure>>, disse Huck. <<Darei qualunque cosa per sapere quello che sta succedendo.>>
I ragazzi continuarono a stare a guardare e ad ascoltare. Di lì a un momento un'idea rivelatrice balenò nella mente di Tom, il quale esclamò:
<<Ragazzi! Io lo so chi è annegato: siamo noi!>>"
Mark Twain

TRAMA
Tom Sawyer è un ragazzo di dieci anni che, orfano dei genitori, viene allevato dalla religiosissima e paziente zia Polly, nel villaggio di St. Petersburg, nel Missouri.
Intelligente, sveglio, e con l'argento vivo addosso, Tom tollera a fatica la scuola, la messa domenicale, le buone maniere, ed in generale, tutte quelle cose che un bravo ed ubbidiente bambino dovrebbe fare, per la gioia dell'amata zia. Tom, al contrario del fratellastro Sid e della cugina Mary, non sopporta proprio il conformismo e la noia della piccola e sonnacchiosa cittadina sulle rive del fiume Mississippi, pertanto fa di tutto per sfuggire a questa vita monotona che a lui non piace proprio e lo fa, spesso e volentieri, anche a costo di ficcarsi nei guai.
Non è un caso perciò che il suo compagno di scorrerie preferito sia il senza-famiglia Huckleberry Finn, il quale può permettersi di non andare a scuola, di dormire dove capita ed, in generale, di fare tutto quello che vuole quando lo vuole. Insieme all'altro amico di Tom, Joe Harper, si improvviseranno prima pirati, poi addirittura cercatori di tesori, lanciandosi in una serie di avventure ora mirabolanti, ora comiche, ora pericolosissime e dalle quali riusciranno sempre a cavarsela.

RECENSIONE
Secondo un "certo" Ernest Hemingway, tutta la letteratura americana deriva dalle opere di Mark Twain, in particolare da due libri che parlano delle avventure di due scatenati ragazzini: Tom Sawyer e Huckleberry Finn. 
Tralasciando per ora Le avventure di Huckleberry Finn (personaggio che ho sempre preferito dei due) che tratteremo in futuro,  concentriamoci sull'opera prima dello scrittore del Missouri.
Le avventure di Tom Sawyer infatti, rappresentano probabilmente il primo di una serie di romanzi legati alla figura romantica del monello ribelle che si oppone con tutta la propria forza alle regole, e che ancora oggi viene riproposta con successo e con buoni risultati anche da autori contemporanei.
Tom, come avverrà qualche anno dopo anche per il nostrano Gian Burrasca, in fin dei conti non è affatto cattivo anzi, in più di un'occasione dà grande prova di generosità e di buon cuore, solamente che non ce la fa proprio a vivere in un mondo regolato da norme che ai suoi occhi appaiono troppo rigide e troppo stupide. Il dover imparare a memoria interi passaggi della Bibbia, il dover andare in giro sempre con le scarpe, andare a dormire ad un orario ben preciso... sono tutte cose che non fanno per lui, tant'è che durante una sua fuga su un'isola deserta al centro del Mississippi, dove per alcuni giorni si dà all'ebbrezza dell'assoluta libertà, ad un certo punto si stufa di quella vita e decide di tornare a casa perchè "non provo nessun gusto a nuotare se non c'è qualcuno che mi dice che non lo devo fare".
Romanzo considerato, a torto, solo per ragazzi, Le avventure di Tom Sawyer ha parecchi spunti da offrire anche agli adulti che, se sapranno lasciarsi andare facendosi guidare dalla magistrale abilità narrativa di Twain, non faranno nessunissima fatica a riconoscersi nel ragazzino terribile, o in qualcuno dei suoi amici.
E tutto questo perchè Tom Sawyer probabilmente è riuscito a scoprire, prima di tutti quanti, che cos'è veramente l'infanzia. E poi perchè, come dice Sergio Campailla nella bellissima prefazione a questa edizione, tutti rimpiangono quest'età, ma in pochi sono realmente disposti a capirla.

BF

Nella nostra libreria:
Mark Twain
Le avventure di Tom Sawyer (The Adventures of Tom Sawyer)
ed. Grandi Tascabili Economici Newton
222 pag.
traduzione di Mariagrazia Bianchi Oddera







domenica 20 aprile 2014

Buon compleanno: Piccoli suicidi tra amici - Arto Paasilinna (1990)

Buon compleanno: Kittilä, 20/04/1942

"La malinconia è un avversario più spietato dell'Unione Sovietica."
Arto Paasilinna

TRAMA 
Stessa storia, stesso posto, stesso... fienile (avrete mica pensato "bar", vero?). Due uomini profondamente in crisi, due perfetti sconosciuti, si trovano stupefatti nello stesso fienile. Entrambi avevano scelto quel luogo e quel momento per porre fine alla propria vita: sia l'imprenditore quattro volte fallito Onni Rellonen, sia il colonnello Hermanni Kemppainen, da poco rimasto vedovo. Dopo un iniziale e comprensibile momento di imbarazzo, i due decidono di rimandare l'atto estremo, ed anzi, dopo aver riflettuto su questo fenomeno in forte tendenda nella loro Finlandia, decidono di aiutare altri aspiranti suicidi a risolvere i problemi che li affliggono o, in caso di insuccesso, ad uccidersi tutti insieme in un grande, spettacolare e solidale suicidio di massa.

RECENSIONE
Nel 1990, anno di pubblicazione di questo romanzo, la Finlandia era ai primi posti nella classifica dei paesi europei per numero di suicidi annui, con una media di 30,3 suicidi ogni 100.000 abitanti. Arto Paasilinna, da sempre sensibile alle problematiche che affliggono il suo meraviglioso paese natale, non si è dunque lasciato sfuggire l'occasione per scriverne un libro.
In esso ci offre un piccolo spaccato di almeno una parte della società finlandese: la disperazione infatti, purtroppo, non conosce età, sesso, provenienza o ceto sociale. E proprio i morituri che accompagnano il lettore per tutto il romanzo, a bordo dell'autobus Saetta della Morte possono essere considerati rappresentati delle diverse categorie. Per molti di essi Paasilinna analizza le cause della loro disperazione, e come un dottore dopo la diagnosi prescrive la cura. Talvolta si tratta della riscoperta della vita attraverso l'amore, la solidarietà, o addirittura il sesso. In altri casi invece la cura è proprio la scelta definitiva di morire.
Argomento scottante, dunque, ma ancora una volta l'autore di Kittilä riesce ad affrontare un tema delicatissimo con straordinaria leggerezza, pur senza mancare di tatto. Se nell'incipit infatti cita il proverbio "In questa vita la cosa più seria è la morte; ma neanche quella più di tanto", Paasilinna ha però anche affermato che "Un autore deve saper trattare temi seri in modo leggero. Mai clownesco".
Piccoli suicidi tra amici ricorda per certi aspetti un altro libro di cui abbiamo parlato recentemente, Non buttiamoci giù, ma al lettore che già conosce le opere di Paasilinna non sfuggiranno comunque certi richiami ad altri suoi libri, oltre naturalmente al suo stile caratteristico.
Voglio lasciarvi con una piccola chicca: non sarà forse la sua opera più rappresentativa, ma a quanto pare questo romanzo è comunque riuscito, almeno in Finlandia, a riscuotere un grande successo proprio tra gli aspiranti suicidi, tanto che l'autore ha dovuto staccare il telefono "Perché non la smettevano più di chiamarmi, per ringraziarmi di aver loro salvato la vita o perché pendevano dalle mie labbra neanche fossi medico o psichiatra". Insomma, magari Paasilinna non sarà uno psicoterapeuta, ma una sana risata leggendo le sue storie può davvero toccare il cuore.


BW

Nella nostra libreria:
Arto Paasilinna
Piccoli suicidi tra amici (Hurmaava joukkoitsemurha)
ed. Iperborea
257 pag.
traduzione di Maria Antonietta Iannella e Nicola Rainò

sabato 19 aprile 2014

Dodici atti impuri - Stefano Disegni (1997)

"COMMESSO: Lei è disponibile solo al battesimo, o possiamo ipotizzare la circoncisione o altre eventuali cerimonie di iniziazione cruente? Sa, per orientarmi meglio...
MARITO: Senta, se è un buon Dio, se è una cosa che dura e non ci lascia in mezzo a una strada come quello che hanno appioppato a un mio collega che dopo tre settimane ha perso la fede e ha dovuto spendere uno sproposito per farsi rifare il prepuzio...
COMMESSO: Ma le pare! Neanche a dirlo! 
MARITO: Bè, allora non badiamo a sacrifici! Vero, cara?
MOGLIE: Ah, sicuro! Chi più spende, meno spende! Se ne vale la pena, sono anche disposta a farmi tagliare il clitoride! Tanto (guardando il marito) per quello che mi serve..."
Stefano Disegni (da 'L'ultimo modello di Dio')

RECENSIONE
Fate parte di una compagnia teatrale stanca di mettere sempre in scena i soliti copioni? Volete imbastire una piccola recita e siete a corto di idee? Oppure avete semplicemente voglia di svagarvi un po'? Stefano Disegni, noto disegnatore ed umorista, vi viene in soccorso con questi dodici brevi "atti impuri" (in verità undici dato che uno di essi, Il campanile dei poveri, dura appena lo spazio di una battuta) che, ne sono certo, vi regaleranno spunti originali e non poche risate. Infatti il vignettista romano, autore anche delle illustrazioni presenti all'interno del libro, vi propone queste storie tutte da ridere strutturate come un vero copione teatrale, con tanto di suggerimenti sui costumi o su come realizzare in modo super-economico alcuni "effetti speciali". Il risultato finale, come già detto, è veramente esilarante e credo che meriti davvero un'occhiata e, detto tra noi, alcune di queste trame sono molto migliori di alcune rappresentazioni teatrali alle quali ho assistito, magari più serie e pretenziose.
Ed ecco allora che, tanto per fare qualche esempio, Kafka chi? ci mostra la celebre Metamorfosi dello scrittore praghese vista peró, questa volta, attraverso gli occhi degli scarafaggi. In Dejeuner sur l'herbe invece assisteremo ad una disorganizzatissima ed improbabile invasione della Terra da parte di bizzarri e litigiosi alieni. Assolutamente geniali poi, a mio avviso, Perchè a volte non abboccano, ovvero la "vendetta" di un verme da esca nei confronti dell'ignaro pescatore, e Cinque per tutti, tutti per cinque! che riesce addirittura a dare una caratterizzazione eccezionale alle dita della mano che, avendo tutte una personalità diversa (e molto azzeccata), non riescono a mettersi mai d'accordo su chi dovrà fare "una certa cosa"... Spassosissimo anche il delirio finale di Tre personaggi in cerca dell'autore (per spaccargli i denti). 
Che dire ancora? Nulla se non che, se avete bisogno di una lettura veloce, brillante e poco impegnativa, che magari vi possa far tornare un po' di buonumore dopo la classica giornataccia, questo divertentissimo libriccino di quel "genio del male" che risponde al nome di Stefano Disegni vi farà senz'altro l'effetto di una bella sorsata d'acqua fresca in un'afosa giornata estiva. 

BF

Nella nostra libreria: 
Stefano Disegni
Dodici atti impuri. Per un teatro senza vergogna
ed. Oscar Mondadori
170 pag.
con le illustrazioni dell'autore