BW&BF

lunedì 31 marzo 2014

Diavoli di donne - Jim Thompson (1954)

"Aveva il culo poggiato sopra a un malloppo da centomila, e faceva battere la nipote per un piatto di fagioli. 
Sì, funzionava.
Mi garbava che fosse così, quindi decisi che così era."
Frank "Dolly" Dillon


TRAMA
Questa è la storia di Frank "Dolly" Dillon, un uomo al quale tutti hanno sempre reso la vita impossibile.
Lui non è che un poveraccio che ha sempre lavorato duro per cercare di emergere, ma c'è sempre stato qualcuno che gliel'ha impedito. E quel qualcuno sono le donne (o come le chiama lui, "baldracche") che ha incontrato sulla propria strada che, avendo capito che razza di persona per bene lui fosse, prima l'hanno sfruttato e poi se ne sono andate prendendosi tutto senza dare nulla in cambio.
Naturalmente questa è la sua versione dei fatti, e non è che le cose siano sempre andate così, anzi. Ma Dolly è fatto un po' in questo modo: paranoico, un po' vittimista e leggermente misogino.
Fatto sta che ora, non più giovanissimo, è finito a fare il venditore porta a porta in una scialba cittadina del Midwest per conto della Pay Easy, una dubbia società di prodotti di largo consumo.
Continuamente punzecchiato dal suo superiore, il viscido ma furbo Staples, a causa del suo rendimento non esaltante, Dolly un giorno suona alla porta di una vecchia signora che gli propone di pagare un servizio di posate in natura, offrendogli il corpo della giovane nipote Mona.
Il venditore ambulante così, rimasto solo con la ragazza, capisce subito che la zia è solita farla prostituire al fine di ottenere piccoli favori e, attratto ed anche impietosito, decide di aiutarla.
Dolly è sposato con Joyce, un'altra di quelle che non hanno mai fatto altro che tormentarlo, che però al termine di un litigio particolarmente violento, se ne va di casa.
A questo punto Dolly, che nel frattempo è venuto a sapere dall'ingenua e timida Mona che la zia custodisce segretamente in cantina un bel po' di soldi, organizza un piano veramente perfetto per impadronirsi del denaro e fuggire con la giovane.
L'occasione è davvero ghiotta ma, come spesso accade, per quanto un piano sia studiato nei minimi dettagli (e questo non lo è affatto), alla fine c'è sempre qualcosa di imprevisto che rischia di mandare all'aria tutto quanto.

RECENSIONE
É ufficiale: io adoro Jim Thompson. 
Che ci volete fare, mi piace tantissimo il suo stile, il modo di raccontare le sue storie che pullulano di uomini sconfitti, di donne smaliziate e dozzinali e, più in generale, di un'umanità fatta di perdenti e di disperati. Come un altro grandissimo della letteratura americana, Bukowski, Thompson riesce a rendere al meglio quando dà vita a vicende corrotte, con personaggi squallidi e miserabili. Personaggi che però rimangono ben impressi nella mente del lettore grazie alle straordinarie caratterizzazioni realizzate dallo scrittore dell'Oklahoma.
E così anche Dolly Dillon entra a far parte della leggendaria galleria dei protagonisti creati da Thompson per le sue opere, dal cinico e scaltro Joe Wilmot di Nulla più di un omicidio, al docile psicolabile Kid Collins di É già buio, dolcezza: tutta gente allo sbando alla quale il destino offre un'ultima opportunità per cercare di dare una svolta alla propria sciagurata esistenza. 
Diavoli di donne è un romanzo che parte da una trama semplice, quasi banale, ma che arriva ai vertici assoluti per quanto riguarda un genere, il noir, che Thompson è riuscito a nobilitare, grazie anche alla recente riscoperta di molti suoi lavori che al tempo vennero accantonati un po' troppo frettolosamente. Da segnalare a questo proposito il finale di questo libro, assolutamente sorprendente ed anche sperimentale, soprattutto se pensiamo a quando è stato scritto.
Un'ulteriore nota di merito (dovuta) va al traduttore Luca Briasco, per il non facile lavoro di "attualizzazione" del linguaggio thompsoniano, senza tuttavia snaturarlo.
Agguerrita ed iperproduttiva macchina da guerra letteraria, al pari forse solo di Dick e del nostro Scerbanenco, l'autore di Anadarko concepì centinaia tra racconti e romanzi nel corso della propria vita, smentendo clamorosamente chi afferma che quantità non è mai sinonimo di qualità.
Le due cose raramente possono coesistere, è vero, ma se si possiedono la genialità visionaria e l'enorme talento di Jim Thompson, è proprio il caso di dire che nulla è impossibile.

BF

Nella nostra libreria:
Jim Thompson
Diavoli di donne (A Hell of a Woman)
ed. Fanucci Editore 
197 pag.
traduzione di Luca Briasco 


 











domenica 30 marzo 2014

Il ritratto di Dorian Gray - Oscar Wilde (1891)

"Che cosa triste! Io diventerò vecchio, orribile, disgustoso, ma questo quadro resterà sempre giovane. Non sarà mai più vecchio di quanto è oggi, in questa giornata di giugno... Se solo potesse essere il contrario!"
Dorian Gray

TRAMA
Il giovane, bellissimo ed estremamente affascinante Dorian Gray viene ritratto dall'amico Basil Hallward, che subisce in maniera così violenta il fascino del ragazzo da temere di aver messo troppo di sé nell'esecuzione del quadro. Proprio il giorno in cui esso viene terminato, Dorian fa la conoscenza di Lord Henry Wotton, eccentrico amico del pittore, che lo prende immediatamente sotto la sua ala protettrice. Ma per sua natura Wotton, seppur non sia animato da cattive intenzioni, è esagerato, cinico, provocatorio, e su una persona come il giovane Gray ha un'influenza potente, e lo porta ad ambire come massima aspirazione alla bellezza, all'edonismo e alla giovinezza, tanto da desiderare di poter non mutare mai, proprio come il ritratto.
Dorian un giorno, dopo aver provato praticamente un colpo di fulmine, si fidanza con una giovanissima attrice, colpito dalla sua bellezza e dalla sua grazia ma anche dalla sua abilità nel recitare; ma quando, alcune sere dopo, lei fa una pessima interpretazione della Giulietta shakespeariana, lui la lascia offeso ed indignato. Ma quando, tornando a casa, il suo sguardo si sofferma sul suo ritratto, scopre con stupore, orrore e meraviglia al contempo che esso è mutato: al posto del sorriso gentile che incorniciava la sua bellissima bocca ora vi è un ghigno beffardo e crudele.
Che si sia avverato il suo desiderio di scambiarsi con il Dorian Gray del quadro?

RECENSIONE
Chiaramente ispirato al Faust goethiano, Il ritratto di Dorian Gray è l'unico romanzo scritto da Oscar Wilde, e di sicuro una delle sue opere più famose. Classico della letteratura inglese, è considerato a ragione un capolavoro.
Il tema della lotta tra il bene e il male, tra l'istinto animalesco dell'essere umano ed i freni della morale e della società ha da sempre affascinato l'uomo, e una personalità eccentrica come lo scrittore irlandese non poteva esimersi dallo scrivere un libro incentrato proprio su di esso, tanto più che ai tre personaggi principali egli attribuiva altrettanti aspetti di sé stesso: il pittore Basil Hallward rappresentava ciò che l'autore credeva di essere, Lord Henry Wotton ciò che il mondo pensava di lui e Dorian Gray ciò che avrebbe voluto essere.
Ma il ritratto in sé è una parte marginale dell'opera, un pretesto per analizzare la malvagità che, in mancanza di conseguenze, può corrompere anche l'anima più pura e bella. Quasi metà del romanzo trascorre dal momento in cui il quadro viene appeso in casa Gray a quando Dorian realizza quale sia il suo potere; ebbene, durante quelle pagine il pathos aumenta, il lettore percepisce il mutamento che sta avvenendo nel giovane, innocente (almeno per quanto ci è dato sapere) prima del suo incontro con Harry Wotton, ma che tramite gli aforismi sardonici e le "sparate" piene di cinismo del gentleman ha cambiato il suo modo di vivere e percepire il mondo intorno a sé. Se non avesse mai incontrato l'amico, forse, mai si sarebbe innamorato della giovane Sybil Vane, perché la bellezza non avrebbe preso il primo posto nella sua scala dei valori; ma altrettanto probabilmente non sarebbe rimasto disgustato dalla pessima interpretazione dell'attrice, o almeno non abbastanza da arrivare a rompere il fidanzamento con lei altrettanto repentinamente di quando le aveva fatto la proposta.
Oscar Wilde è stato un maestro nella creazione del romanzo. Se lo stile vittoriano può risultare non facile ed a tratti quasi noioso, è però frammezzato a tratti da descrizioni a dir poco barocche che movimentano il tutto e destano l'attenzione del lettore, che si trova catapultato nella Londra borghese del XIX secolo. Mentre ad esempio l'autore descrive il giardino di Hallward, o il Park, il lettore non si limita ad osservare la scena, ma gli può sembrare quasi di sentire il profumo dei fiori, o la carezza del venticello estivo che gli solletica la calda pelle. Non so a voi, ma a me non sono molti gli scrittori che hanno dato queste sensazioni.
Insomma, a mio avviso Il ritratto di Dorian Gray è un'opera mostruosamente magnifica che tutti, almeno una volta nella vita dovrebbero leggere e sulla quale dovrebbero riflettere.

BW

Nella nostra libreria:
Oscar Wilde
Il ritratto di Dorian Gray (The Picture of Dorian Gray)
ed. Garzanti i grandi libri
304 pag.
traduzione di Marco Amante

    

sabato 29 marzo 2014

Non buttiamoci giù - Nick Hornby (2005)

"Se posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo? Certo che posso spiegare perché volevo buttarmi dal tetto di un palazzo. Cavolo, non sono mica deficiente."
Martin Sharp

TRAMA
È risaputo che sotto le feste di Natale il numero di suicidi (tentati o riusciti) aumenta rispetto al resto dell'anno, ed in particolar modo la notte di capodanno sembra attirare coloro che non vogliono più vivere.
Forse Martin, conduttore televisivo ormai noto più per uno scandalo sessuale che per la sua trasmissione (scandalo a causa del quale è stato in prigione e ha perso moglie, figlie e lavoro), avrebbe dovuto pensarci, quando ha scelto proprio la notte di San Silvestro per recarsi in cima alla Casa dei Suicidi con l'intenzione di gettarsi dal cornicione. Sì perché la stessa idea l'ha avuta anche Maureen, cinquantunenne tutta casa (di cura del figlio) e chiesa, che trascorre tutta la vita in funzione di Matty, il figlio ritardato che non sa parlare né camminare e probabilmente nemmeno chi sia sua madre. La cosa è piuttosto imbarazzante: il suicidio dovrebbe essere un atto solitario, e così i due cominciano a discutere su chi e come debba gettarsi per primo.
Ma mentre stanno disquisendo dei dettagli, una terza figura si avvicina correndo e tentando di approfittare della scaletta di Martin per gettarsi, e solo un placcaggio dell'uomo riesce a fermarla: si tratta di Jess, la diciottenne, sboccatissima e apparentemente pazza furiosa Jess. I due adulti proprio non possono accettare che una ragazzina così giovane si suicidi, ha tutta una vita davanti da poter vivere e troppa poca vita alle spalle per aver fatto qualcosa di irrimediabile. I toni quindi passano dalla discussione ad un vero e proprio litigio, quand'ecco che...
Quand'ecco che arriva JJ, fattorino delle pizze (con tanto di vegetariana e salamino piccante) che arriva per completare il poker di aspiranti tuffatori.
Quattro persone sono decisamente troppe. Smorzati un po' i toni e senza nulla da perdere, la combriccola decide di scendere dalla Casa dei Suicidi (per le scale), posticipando l'appuntamento con la morte.

RECENSIONE
Primo: non smetterò mai di gridare al mondo il mio amore (professionale, s'intende) per Massimo Bocchiola (sì, lo so, non a tutti interessa il lavoro di un traduttore, ma non posso farci niente, è il mio pallino fisso)! Se nei romanzi di Welsh, come ho già scritto in passato, dimostra tutta la sua bravura traducendo in un linguaggio colloquiale ma mai dialettale lo slang dei personaggi, qui ha superato sè stesso. Un conduttore televisivo, una cinquantenne (sospetto irlandese), una ragazzina sboccatissima e un americano parlano quattro lingue diverse, e Bocchiola ha saputo riportare questi linguaggi in maniera a dir poco magistrale.
Secondo: ho appena scoperto un nuovo amore, quello per Nick Hornby. È stato un vero e proprio colpo di fulmine, ed è per questo motivo che ho scelto proprio l'inizio del libro che mi ha fatta innamorare di lui come citazione. In quelle poche righe infatti è racchiuso il sunto del romanzo intero, tema, linguaggio e registro.
Non buttiamoci giù è infatti un'idea semplice ma geniale, e quando, finita la prima parte, il pathos scema e l'attenzione potrebbe calare, BAM!, ecco che Hornby comincia la seconda parte con delle trovate inaspettate e mai scontate e ci accompagna per mano per tutto il percorso del Club dei Suicidi, con continui cambi di registro (grazie al fatto che il tutto è narrato in maniera alternata dai quattro protagonisti) che impediscono di stagnarsi su una precisa situazione o un preciso punto di vista.
Un libro estremamente comico, ma allo stesso tempo profondamente riflessivo sul tema dell'amore per la vita che, quando risulta troppo diversa da come vorremmo che fosse, ci induce a desiderare la morte.
Solamente pochi giorni fa (lo so, sono un po' fuori dal Mondo!) ho scoperto che è appena uscita al cinema la trasposizione su pellicola di questo romanzo, ma non l'ho visto, per cui non so dirvi se sia fedele al libro o no. Posso solamente dirvi che il romanzo è strepitoso, uno dei più belli che abbia letto negli ultimi tempi. 
E se vi trovate in un periodo della vostra vita in cui non tutto fila proprio come vorreste (ve lo dico per esperienza personale), Non buttiamoci giù non potrà che strapparvi un sorriso. La vostra vita sicuramente non cambierà, ma la vedrete un po' meno grigia di prima.

BW

Nella nostra libreria:
Nick Hornby
Non buttiamoci giù (A Long Way Down)
ed. Guanda Le Fenici
293 pag.
traduzione di Massimo Bocchiola

 

venerdì 28 marzo 2014

Dal libro al film: Non è un paese per vecchi - Cormac McCarthy (2005)

"Un tempo dicevo che quelli con cui avevamo a che fare erano sempre gli stessi. Gli stessi con cui aveva a che fare mio nonno. Ai suoi tempi rubavano il bestiame. Oggi spacciano la droga. Ma adesso forse non è più vero... Mi sa che gente così non l'abbiamo mai vista prima d'ora. Gente di questo tipo. Non so neanche cosa bisognerebbe fare con loro. Se uno li ammazzasse tutti, toccherebbe costruire una dépendance dell'inferno."
Ed Tom Bell


IL LIBRO
Texas, 1980. Llewelyn Moss, saldatore e reduce dal Vietnam, è a caccia di antilopi nei pressi del Rio Grande, ai confini con il Messico.
Così facendo, si ritrova casualmente su quella che sembra essere la scena di una violenta sparatoria tra trafficanti di droga: jeep crivellate di colpi, cadaveri sul terreno ed una grande partita di eroina sul retro di un pick-up.
Al volante del mezzo, c'è un messicano ferito in modo molto grave che chiede a Llewelyn di portargli dell'acqua ma questi, dopo avergli detto che non ne ha, parte alla ricerca del probabile ultimo sopravvissuto; colui che, in teoria, dovrebbe essere fuggito con il denaro.
Lo trova infatti poco più avanti, morto e con una cartella tra le gambe contenente svariati mazzetti di banconote.
Non credendo ad un simile colpo di fortuna, Llewelyn prende il malloppo (circa due milioni di dollari) e si allontana in tutta fretta da quel luogo pericolosissimo.
Durante la notte però, colto da un forte senso di colpa, decide di tornare sul posto per soccorrere l'uomo ferito. 
Ma quando Moss giunge in prossimità del luogo del misfatto con l'acqua per il messicano, trova quest'ultimo freddato da un colpo in fronte. A questo punto si rende conto di essere in grave pericolo e cerca di ritornare in fretta al proprio veicolo per fuggire al più presto.
Ma la fortuna, che aveva servito a Llewelyn un'occasione d'oro per cambiare vita, si riprende tutto con gli interessi quando l'uomo nota che un altro fuoristrada spunta improvvisamente da un'altura proprio di fianco al suo pick-up, che viene accuratamente passato al setaccio da due loschi figuri. 
Llewelyn quindi, maledicendosi per la propria stupidità, si vede costretto a scappare a piedi dalla parte opposta, ma viene visto dagli occupanti della jeep che lo inseguono sparandogli addosso.
Pur essendo ferito ad una spalla, riesce ugualmente a far perdere le proprie tracce e a fare ritorno alla roulotte che divide con la giovane moglie Carla Jean. Senza scendere nei particolari Moss la avverte che una forte minaccia incombe su di loro e la convince a rifugiarsi dalla madre in una anonima cittadina del Texas occidentale.
Separatosi dalla consorte, il reduce del Vietnam recupera la cartella con i soldi e, consapevole di essere braccato da gente senza scrupoli che grazie al numero di targa del suo veicolo abbandonato ormai sa tutto di lui, si lancia in un disperato tentativo di fuga.
Nel frattempo, anche l'anziano sceriffo della contea Ed Tom Bell, ormai prossimo alla pensione e uomo regolato da profondi valori e da un solido codice d'onore ormai sorpassato, ha raggiunto la scena del massacro iniziale e riconosciuto il mezzo del suo concittadino.
Ma non è finita. Un pericolo ben più terrificante incombe di fatto su Llewelyn: un sicario psicopatico e terribilmente letale di nome Chigurh che, armato di una micidiale arma ad aria compressa, si è lanciato anch'egli alla caccia del bottino scomparso, lasciando dietro di sè una lunga scia di sangue.
Lo sceriffo così, avendo realizzato in che razza di guaio si sia cacciato il fuggitivo, tenta di rintracciarlo in una folle corsa contro il tempo, sperando di riuscire a trovarlo prima dei trafficanti. E soprattutto, prima di Anton Chigurh.

 
IL FILM
Poco dopo l'uscita del libro, il noto produttore Scott Rudin rimase talmente folgorato dal romanzo di McCarthy che ne comprò immediatamente i diritti per farne al più presto un film. 
Contattò così i fratelli Coen, i quali nel frattempo stavano lavorando su di un altro progetto ma che, una volta interpellati, si dimostrarono fin da subito molto entusiasti, tanto da riuscire a realizzare una sceneggiatura in brevissimo tempo.





Non è un paese per vecchi venne quindi girato nella primavera-estate del 2007 ed uscì in anteprima il 9 novembre dello stesso anno, suscitando fin dall'inizio buone impressioni negli addetti ai lavori.
Ma è nella Notte degli Oscar 2008 che il film fece il botto, guadagnandosi quattro statuette tra le più importanti (miglior film, miglior regia, miglior attore non protagonista, miglior sceneggiatura non originale) su otto nomination complessive, ed ottenendo grandi consensi da parte della critica.
Totalmente fedele al romanzo, l'adattamento cinematografico di Ethan e Joel Coen colpisce incredibilmente per come riesce a trasporre benissimo il messaggio che costituisce l'ossatura portante dell'opera.
La storia infatti, vista attraverso gli occhi dello sceriffo Ed Tom Bell (interpretato da un magnifico Tommy Lee Jones), ci presenta un uomo, lo sceriffo appunto, ancora legato ad un passato in cui anche i criminali, pur essendo tali, avevano comunque un qualche principio morale, ma che si sta accorgendo del drastico cambiamento che sta avvenendo nella società, sempre più violenta e brutale.
Un forte senso di inadeguatezza e di disagio  traspare così dalle amare riflessioni dell'anziano tutore dell'ordine il quale, non riconoscendosi più in questo sistema, è sempre più deciso ad abbandonare l'incarico. 
Ed ecco così che il titolo, assai esplicativo, riassume in maniera efficacissima questo stato d'animo: i tempi stanno cambiando, ed in peggio. Non ci sono più i fuorilegge di una volta, sta facendo sempre più la sua comparsa un'altra specie di malviventi, del tutto spietata e sconosciuta. Di conseguenza bisogna lasciare spazio ad una nuova tipologia di guardiani della legge perchè questo Non è un paese per vecchi.
Vero e proprio western ambientato in epoca moderna, Non è un paese per vecchi ha il proprio punto di forza nell'intreccio tra i personaggi, diversissimi tra loro ma uniti da un destino beffardo, e che costituiscono i vertici di un triangolo.
Dello sceriffo Bell abbiamo già detto, analizziamo ora gli altri due protagonisti.  Josh Brolin presta le fattezze a Llewelyn Moss che, nella più classica tradizione dei Coen, raffigura l'ennesimo personaggio anonimo che si trova all'improvviso al centro di una vicenda molto più grande di lui e che, come avviene per il vile marito che in Fargo (altro gioiello dei due fratelli) fa rapire la moglie, più cerca di tirarsi fuori dalle sabbie mobili nelle quali è finito e più affonda.
L'ultimo vertice è infine formato dal glaciale e sanguinario Anton Chigurh, la cui ottima interpretazione di Javier Bardem (primo spagnolo a vincere l'Oscar) dà vita ad uno dei "cattivi" più memorabili degli ultimi tempi.
Il risultato finale di tutto questo è un film epico e romantico al tempo stesso, che viene devastato da improvvise e brevi esplosioni di violenza. Violenza che però non è mai fine a sè stessa, ma sempre funzionale ai fini del racconto.
Naturalmente il mio consiglio non può che essere quello di leggere possibilmente prima il bellissimo romanzo di McCarthy, e solo in seguito visionare il film ma, essendo la pellicola così coerente all'opera originaria, diciamo che l'una non preclude necessariamente l'altra.
In ogni caso, che preferiate il libro o il film (o come me tutti e due), una cosa è certa: entrambi sono, nel loro campo, degli autentici capolavori.

BF
Nella nostra libreria:
Cormac McCarthy
Non è un paese per vecchi (No Country for Old Men)
ed. Einaudi
251 pag.
traduzione di Martina Testa

 

giovedì 27 marzo 2014

Il conto dell'ultima cena - Andrea G. Pinketts (1998)

"<<Hai letto il giornale oggi?>>
<<Lazzaro, lo sai che non leggo i quotidiani. Le notizie aspetto che finiscano sull'enciclopedia prima di prenderle sul serio.>>"
Lazzaro Santandrea e Pogo il Dritto

TRAMA
Traguardati i trentatrè anni, Lazzaro Santandrea inizia a convincersi che per lui si stia avvicinando la fine, se non altro perchè: "tutti i giusti, da Gesù Cristo a John Belushi", sono morti a quell'età.
E per poco la sua allucinata profezia non si avvera sul serio quando, dopo aver partecipato in qualità di padrino al battesimo del piccolo Riccardo, figlio dell'inseparabile Pogo, si addormenta ubriaco su una panchina in un parco. Scambiato per un barbone, viene quindi aggredito a calci e pugni da un gruppo di ragazzi annoiati della Milano-bene, gli stessi che qualche tempo prima hanno quasi ridotto in fin di vita un altro senzatetto.
Ma Lazzaro si difende, risponde per le rime e riesce a mettere in fuga i teppisti senonchè, prima di perdere i sensi, avviene l'imponderabile: Lazzaro ha una visione. Ma, essendo Lazzaro una persona del tutto fuori dall'ordinario, è inevitabile che non abbia una visione qualsiasi, bensì LA VISIONE per eccellenza, ossia la Madonna.
Prende così il via il consueto carosello di eventi in pieno stile pinkettsiano che porterà Lazzaro e la sua corte dei miracoli (termine mai così appropriato) comprendente Pogo, Carne, Vito Carta, Gippo ed altri folli discepoli di Santandrea, a confrontarsi di volta in volta con una setta di fanatici religiosi, un pericoloso energumeno a piede libero, un serial killer che uccide le proprie vittime a morsi, presunti miracoli ed apparizioni Mariane.
Tutto questo, come sempre, scandito da un ritmo forsennato e dal tipico umorismo "Made in Pinketts".

RECENSIONE
Ancora una volta Andrea G. Pinketts ci coinvolge in avventure pazzesche, al limite del paradossale e, grazie al suo particolarissimo e caratteristico stile, si conferma a mio giudizio come uno dei migliori scrittori in circolazione. 
Saranno forse esagerazioni, ma al momento mi vengono in mente solo un paio di nomi, tra gli autori presenti nel panorama attuale, che siano in grado di mischiare i generi e cambiare continuamente le carte in tavola come fa il nostro. Pinketts infatti, utilizzando pochissime parole, riesce a stravolgere completamente una frase, una conversazione, un'atmosfera. Si passa continuamente da citazioni colte a battutacce da birreria, dalla paura alle risate, insomma leggere Il conto dell'ultima cena assomiglia moltissimo ad una corsa a rotta di collo sulle montagne russe.
Libro che esprime una decisa condanna nei confronti di un certo modo di spettacolarizzare il dolore che, proprio in quegli anni (la storia è ambientata nei primi anni novanta) stava iniziando a muovere i primi passi, si può anche dire che Il conto dell'ultima cena rappresenti uno specchio piuttosto fedele  della realtà che ci circonda. Forse uno specchio un po' deformante, ma a pensarci bene nemmeno più di tanto.
Torrenziale e travolgente come suo solito, Pinketts con questo suo quarto romanzo alza decisamente l'asticella, pur mantenendo immutati alcuni elementi che hanno fatto la sua fortuna.
A voler trovare per forza un difetto a questo libro, si potrebbe probabilmente affermare che è leggermente prolisso e che la vicenda poteva esser chiusa anche con una cinquantina di pagine in meno, ma sarebbe davvero voler cercare il classico pelo nell'uovo. E Lazzaro, si sa, ama tutt'un altro tipo di pelo.
Mica male come chiusura, eh? Come vedete, mi sto "pinkettsizzando" anch'io.

BF

Nella nostra libreria:
Andrea G. Pinketts
Il conto dell'ultima cena
ed. Mondadori
490 pag.






mercoledì 26 marzo 2014

Strane avventure di Sherlock Holmes in Giappone - Dale Furutani (2011)

"La prego, dica al commissario Suzuki che il diversivo di un caso bizzarro mi è sempre gradito. Inoltre a volte un reato minore, specie se insolito, può rivelarsi più importante di quanto sembri."
Sigerson-san al Dott. Watanabe

TRAMA
Junichi Watanabe è un medico giapponese specializzato in medicina olandese (o medicina occidentale), che ha studiato in gioventù per più di due anni a Londra, dove ha imparato a conoscere ed apprezzare la cultura occidentale, in particolar modo quella inglese.
Una volta tornato in patria è diventato medico condotto, e viste le sue conoscenze linguistiche e culturali diventare medico della cittadina di Karuizawa, dove numerosissimi gaijin, ovvero stranieri, soggiornano o risiedono, è stata la scelta più elementare.
Un giorno riceve in visita il colonnello inglese Ashworth, che gli chiede il favore di ospitare in casa sua un misterioso esploratore norvegese, tale Sigerson, che deve essere protetto da misteriosi, potenti nemici che lo vogliono uccidere, ed è addirittura il ministero degli esteri di Sua Maestà che ritiene necessaria la sua protezione.
Inizialmente scettico e titubante, Watanabe accetta con riluttanza di incontrare il gaijin prima di negargli la propria ospitalità; ma non appena fa la sua conoscenza capisce che l'uomo (che pare stranamente molto più inglese che norvegese) è dotato di un'intelligenza brillante e di una fortissima curiosità, caratteristiche che gli permettono, nonostante non conosca affatto la cultura del paese in cui si trova, di avere delle deduzioni che lo portano a conclusioni assolutamente geniali.
I due diventano così coinquilini, e grazie alla intermediazione linguistica da parte di Watanabe Sigerson-san riesce a risolvere casi più o meno gravi che colpiscono la piccola cittadina nipponica.

RECENSIONE
Iniziamo con una breve parentesi, perché quando qualcuno è bravo trovo sia assolutamente doveroso riconoscerne i meriti. A maggior ragione se quel qualcuno sono tanti "qualcuno". Strane avventure di Sherlock Holmes in Giappone infatti è stato tradotto come attività di stage dagli allievi della Scuola di specializzazione in traduzione editoriale di Torino, ma sono stati così bravi da realizzare una traduzione assolutamente omogenea, tanto che nessuno, se non si prendesse la briga di guardare all'inizio del libro, capirebbe che è ad opera di ben 19 persone (più la curatrice).
Chiusa questa parentesi, il secondo plauso va fatto al signor Furutani, che staccatosi dal suo personaggio più famoso Kaze Matsuyama (si può notare una citazione nel racconto Il caso del maneki neko) è riuscito comunque ad escogitare una trovata simpatica e fantasiosa per portare un personaggio famoso come Sherlock Holmes in Giappone.
Chiunque abbia letto anche solo un racconto sull'investigatore di Baker Street non può che sorridere di fronte ad alcuni particolari: ad esempio, se in Inghilterra è il Dott. Watson ad essere il narratore delle imprese dell'amico, in Giappone lo è il suo collega e quasi omonimo Dott. Watanabe; l'espediente stesso escogitato per giustificare la presenza dell'inglese nel Paese del Sol Levante; infine, lo stesso, identico humour che caratterizzava l'Holmes di Conan Doyle.
Al di là dei personaggi, anche la trama è molto ben costruita, sia quella dei singoli casi, sia quella che li unisce e forma l'intero libro. Lo stile poi è quello tipico di Furutani, e se avete letto i precedenti romanzi che formano la Trilogia del Samurai sapete già di cosa parlo. Se invece siete neofiti dell'autore americano di origini giapponesi, non posso comunque fare a meno di consigliarvi vivamente di leggere Strane avventure di Sherlock Holmes in Giappone, poiché si tratta di un'opera assolutamente deliziosa, oltre che spassosa ed appassionante.

BW

Nella nostra libreria:
Dale Furutani
Strane avventure di Sherlock Holmes in Giappone (The Curious Adventures of Sherlock Holmes in Japan)
ed. Marcos Y Marcos
252 pag.
traduzione di Flora Arone, Alessia Borin, Paolo Cocco, Chiara De Bernardi, Simona Depaoli, Serena Fabris, Marta Formagnana, Ilaria Gentile, Chiara Longo, Sofia Mangano, Manuela Mastroianni, Sara Monsurrò, Roberta Sapino, Agnese Scarpa, Mariangela Scrimaglio, Elisabetta Spediacci e Angela Tursi
a cura di Paola Mazzarelli

 

martedì 25 marzo 2014

Musica per organi caldi - Charles Bukowski (1983)

"Le uniche persone che conoscono la pietà sono quelle che ne hanno bisogno"
Henry Charles Bukowski 


RECENSIONE
Bukowski, ancora lui. Il pazzo, l'ubriacone, il piantagrane. Ma anche il profondo, il viscerale, il sensibile. Sempre lui, sempre quello stupefacente folle genialoide di Bukowski. 
Che dire ormai di lui che non sia già stato detto, anche meglio, da tanti altri?
Poco, se non che questo Musica per organi caldi, uscito nel lontano 1983, è un'ulteriore ed energica conferma che lo scrittore di San Pedro, in quanto a comprensione ed analisi dell'animo umano, non è proprio secondo a nessuno. 
Trentasei racconti che pongono al centro dell'attenzione quelli che normalmente non vengono mai considerati da nessuno, gli ultimi, i poveri di denaro ma anche di valori, tutti quelli che la vita ha spesso preso ha sberle, ma che in molti casi se le sono anche andate a cercare per bene, le sberle.
E il vecchio zio Buk ci fa un po' da Caronte in questi piccoli inferni quotidiani, a partire da Meno fragile della locusta, racconto che apre la raccolta, fino a Imbrogliare Marie, quello conclusivo. 
Nel mezzo tutto un campionario di storie irresistibilmente surreali e grottesche che, se da un lato divertono fino a far ridere sguaiatamente, dall'altro lasciano un senso di cupo disagio e di marcato ribrezzo nei confronti della razza umana tutta. 
Ma Bukowski, lo sappiamo ormai, è così: prendere o lasciare. Ed allora tuffiamoci in avventure paradossali, repellenti, tragicomiche, illogiche, e chi più ne ha più ne metta. 
Tra tutte a mio giudizio sicuramente meritano un plauso particolare: Declino e caduta, Una mattina del cazzo, L'uomo che amava gli ascensori, 400 chili, Una birra al bar dell'angolo, Come farsi pubblicare, Fatto finito chiuso. Standing ovation del tutto personale poi per Dolore di scarto, per il modo meraviglioso e tutto da ridere col quale viene fatto letteralmente a pezzi il prototipo del poeta pretenzioso ed intellettualoide il quale, avendo in realtà ben poco da dire, si nasconde dietro ai paroloni ed a metafore astratte del tutto incomprensibili.
Un viaggio che ci conduce in una sorta di mondo nascosto, all'interno del quale si muovono assassini, prostitute, alcolizzati, feticisti, psicopatici e maniaci di ogni tipo. Un mondo che potrà anche schifare o scandalizzare il lettore meno avvezzo a rapportarsi con certe tematiche, ma che Bukowski conosce assai bene e che, indubbiamente, sa raccontare in maniera magistrale.
Un libro che consiglio senza indugio a tutti coloro che già hanno apprezzato altre opere dello scrittore americano ma non solo, infatti mi permetto di suggerire la lettura di Musica per organi caldi anche a chi ritiene di essere una persona curiosa, che non si lascia impressionare tanto facilmente e che non ha paura di mettersi in gioco.
Sono convinto che anche Bukowski sarebbe felicissimo, di avere lettori così.

BF

Nella nostra libreria: 
Charles Bukowski
Musica per organi caldi (Hot Water Music)
ed. Universale Economica Feltrinelli
191 pag.
traduzione di Maria Giulia Castagnone





lunedì 24 marzo 2014

C'era una volta un re... Ma morì - AA. VV. (2006)

"La baciò dappertutto, dappertutto, dappertutto. Dappertutto, meno... meno che sulla bocca!
<<Per forza, se no quella si svegliava. Mica so' fesso!>>"
Un principe azzurro, da "C'era una volta un re... ma morì - La madre di tutte le fiabe"

RECENSIONE
Breve antologia di fiabe, C'era una volta un re... Ma morì è un carinissimo libro "per bambini piuttosto cresciuti" che solleticò la mia curiosità svariati Natali fa, tanto da spingermi a regalarlo a BarFly (palesissimo caso di regalo-boomerang!).
Per una che, come me, è cresciuta a pane e Broncoviz, una raccolta di favole surreali e spassose il cui titolo è tutto un programma era irresistibile. E, una volta letta, si è confermata degna delle mie aspettative.
Gli AA.VV. sono diversi comici tra i più famosi del panorama nazionale, e alcuni sono riusciti a sfornare delle brevi storie che sono delle vere e proprie chicche. Prima tra tutte proprio quella che dà il titolo alla raccolta, scritta da Gnappo (il pupazzo celebre per portare una sfiga clamorosa) e l'ex Broncoviz Ugo Dighero: grasse risate garantite!
Altri due esempi molto riusciti sono, a mio avviso, Otto il passerotto e la Fata Maldestra  di Lillo e Greg, e La principessa Camillona di Gioele Dix. Quest'ultima, in particolare, non fa tanto ridere per la fiaba in sè, bensì per la situazione: è infatti la descrizione del tentativo da parte del cabarettista ed attore milanese di fare addormentare la figlia cinquenne raccontandole, come tutte le sere, la fiaba inventata da lui. Sono sicura che molti genitori si rivedranno nei panni del povero Dix!
Non potendo parlare di tutti i capitoli, segnalo infine Super Zurba di Stefano Disegni, fantozziana storia di un supereroe che non si ricorda quale sia il suo superpotere, con risultati alquanto esilaranti.
Certamente non merita il Premio Pulitzer, ma se siete alla ricerca di una lettura leggera, rilassante e divertente senza dubbio C'era una volta un re... Ma morì è un libro da prendere in considerazione.

BW

Nella nostra libreria:
AA. VV.
C'era una volta un re... Ma morì. Fiabe che finiscono abbastanza bene
ed. Einaudi Stile Libero Extra
109 pag.

  

domenica 23 marzo 2014

Giallo su giallo - Gianni Mura (2007)

"<<E ringrazi i suoi, giù a Roma. Si sono mossi subito.>>
<<Ci credo, non succede spesso che un inviato sia accusato di omicidio proprio alla vigilia di un Tour che può vincere un italiano.>>
<<Non me ne intendo, io seguo solo il rugby. Per me il ciclismo è uno sport da pazzi furiosi.>>"
L'avvocato Rigaud e Gianni Mura


TRAMA
Gianni Mura, firma di prim'ordine ed inviato di "la Repubblica" al Tour de France, viene coinvolto il giorno prima dell'inizio della corsa in un brutto fattaccio. 
Una giovane prostituta che un paio d'ore prima aveva tentato di abbordarlo, viene ritrovata strangolata fuori dalla porta della sua stanza d'albergo.
Inizialmente sospettato, viene scagionato quasi subito, giusto in tempo per poter seguire la tappa inaugurale ed inviare alla redazione il primo di una lunga serie di fantastici articoli (che ci vengono tutti proposti) scritti col suo stile inconfondibile.
Ma, quando qualche sera dopo viene ucciso un giornalista molto popolare che seguiva anch'egli la manifestazione, allora fa capolino lo spettro del "Serial killer del Tour" ed entra in gioco il distinto ed acuto commissario Magrite. Una via di mezzo tra il famoso pittore surrealista Magritte, e uno dei detective più celebri della narrativa poliziesca, Maigret, il commissario indaga con un metodo piuttosto anomalo ma efficace su queste morti misteriose che stanno insanguinando la gara ciclistica più prestigiosa del mondo.
Scandito dai commenti alla tappa dell'autorevole inviato, Giallo su giallo usa nomi fittizi dietro ai quali si celano le star del ciclismo mondiale, ma per chi ne mastica un po' di due ruote non sarà difficile realizzare che, tanto per fare alcuni esempi, lo strafavorito Bill Sheldon altri non è che Lance Armstrong, mentre il nostro Mirko Valli in realtà è Ivan Basso, Tommy Borkamp è Tom Boonen e Kapetanov è Vinokurov.
Giallo è il colore della competizione francese, come la maglia che viene indossata dal leader della classifica, ma in questo caso il giallo ha anche un altro e più oscuro significato; proprio come i post-it numerati (gialli naturalmente) che l'assassino lascia accanto ai cadaveri delle vittime.


RECENSIONE
Cresciuto alla scuola di un altro grande Gianni del giornalismo sportivo mondiale, sto parlando ovviamente di Brera, Gianni Mura credo che sia l'unico rimasto in Italia ad appartenere a quella vecchia scuola che comprendeva anche, oltre al già citato Brera anche l'indimenticato e grandissimo Beppe Viola, che parlava di sport con vasta competenza, ma senza mai alzare i toni e la voce (come al contrario avviene sempre più spesso al giorno d'oggi), raccontando gli avvenimenti con un garbo ed un'eleganza ormai quasi scomparse; il tutto condito da un'ironia sagace e genuina.
In questo libro, che è un vero e proprio atto d'amore non solo verso il Tour, ma anche nei confronti di un certo modo di viverlo e di raccontarlo, Mura inserisce una buona trama poliziesca, non certo un capolavoro massimo del genere, ma accattivante quel tanto che basta per coinvolgere il lettore fino all'ultima pagina. 
Un giallo che però in verità è un piccolo pretesto per narrare delle tantissime leggende ed imprese eroiche che costellano questa celeberrima corsa: dalle miriadi di personaggi, anche improbabili, che hanno affollato (ed affollano) le sale stampa, agli splendidi ed evocativi paesaggi delle Alpi Provenzali o della campagna bretone, fino alle abbuffate a base di specialità locali e vini pregiati nelle quali gli addetti ai lavori si scambiano opinioni e segreti, spesso facendo le ore piccole.
Mura ha seguito questa kermesse per la prima volta nel 1967, l'anno della tragedia di Tommy Simpson al Mont Ventoux (rievocata dall'autore in modo splendido, pur nella sua drammaticità) e, da autorevole cronista, snocciola tutta una serie di aneddoti, alcuni divertenti, altri meno, a proposito di quel villaggio o di quella particolare salita.
Emerge anche una forte nostalgia per un tempo che non c'è più, quando Il Tour de France era una carovana che, come un grande circo, percorreva il Paese e che si svolgeva in mezzo alla gente, costituendo un'occasione di festa. Come afferma infatti egli stesso: "A Luchon ho visto Merckx e gli altri dormire su brande allineate nei corridoi del liceo, far la coda per le docce dopo un tappone pirenaico. Quello era il Tour-caserma di Goddet e Lévitan, indossavano una sahariana che era quasi un'uniforme. Adesso è un'altra cosa. Quel Tour si fa rimpiangere, questo è difficile amarlo."
Primo romanzo del giornalista milanese, che nel 2007 si è aggiudicato il Premio Grinzane-Cesare Pavese per la narrativa, Giallo su giallo è senza dubbio una lettura assolutamente rilassante e piacevole, anche se magari non siete ciclofili accaniti.

Il giorno scelto per questo post non è casuale, infatti oggi si corre la Milano-Sanremo, ovvero la grande classica che tradizionalmente dà il via alla stagione ciclistica. Intendo così portare un mio piccolissimo omaggio ad uno sport che, come il calcio o l'automobilismo, è tra quelli che più hanno acceso la fantasia popolare e che, purtroppo, sono anche gli stessi che oggi rischiano di essere rovinati definitivamente dai troppi interessi in ballo, piuttosto che da violenze, imbecillità assortite, regolamenti assurdi o, nel caso appunto del ciclismo, dalla piaga del doping.
Augurandomi che questo magnifico sport riesca a ritrovare quel minimo di credibilità necessario a far sì che torni di nuovo ad accendere la passione della gente, segnalo questo godibilissimo libro all'attenzione non solo degli sportivi (che sono sicuro, se lo berranno in un fiato) ma anche a chi, in generale, ama la buona scrittura.

P.S. Invito caldamente mio fratello, ex ciclista dilettante ed amante dei buoni libri, quando ne avrà il tempo (ed io so bene che ora come ora purtroppo ne ha poco) a leggere Giallo su giallo in quanto, e su questo sono pronto a mettere tutte e due le mani sul fuoco, arriverà ad amarlo alla follia.
Sono persino disposto a prestarglielo, pensa un po' te cosa non si farebbe per un fratello!

BF


Nella nostra libreria:
Gianni Mura
Giallo su giallo
ed. Universale Economica Feltrinelli
227 pag.


sabato 22 marzo 2014

Cirano di Bergerac - Edmond Rostand (1897)

"<<Rossana aspetta una lettera. Scrivile stasera stessa.>>
<<Oddìo!>>
<<Che c'è?>>
<<C'è che se cerco di scriverle mi perdo!>>
<<E perché?>>
<<Perché? Perché son così stupido da morire di vergogna.>>"
Cirano e Cristiano

TRAMA
Abilissimo spadaccino e raffinato poeta e letterato, Cirano da sempre è innamorato della bellissima cugina Rossana, anch'ella amante della nobile letteratura.
Ma un ostacolo enorme si frappone all'amore tra i due: nonostante le sue grandi qualità, Cirano si vede mostruoso a causa del suo enorme naso, tanto da aver ammazzato in diverse occasioni persone che a causa di esso l'avevano preso in giro (almeno secondo lui).
È così con grande stupore che il guascone viene invitato, tramite la governante di lei, ad un appuntamento segreto proprio con Rossana, ed immediatamente, credendo che la ragazza sia innamorata di lui, le scrive una lettera piena d'amore.
Ma purtroppo si tratta di un malinteso: Rossana gli confessa sì il suo amore, ma non nei suoi confronti, bensì verso Cristiano, un giovane e bellissimo cadetto della compagnia di Cirano. La fanciulla si è rivolta al cugino per chiedergli di proteggere il suo amato, e, seppur a malincuore, egli non può che accettare.
Al contrario di Cirano però Cristiano è sì bellissimo, ma in compenso non è assolutamente capace né di comporre versi né di parlare in maniera romantica e poetica; così il suo nuovo mentore, pur di vedere felice la sua amata, gli presta tutta la sua abilità letteraria, prima suggerendogli le parole, poi sostituendosi al giovane.
Ma l'amore, ahimè!, è complicato. E quando ci si mette anche la guerra ad aggiungere difficoltà alla situazione, anche i versi più dolci potrebbero trasformarsi in un dramma.

RECENSIONE
Cirano di Bergerac (o, in altre versioni, Cyrano de Bergerac) è, al pari del suo collega Don Chisciotte un personaggio (e un'opera) che è entrato tra i capolavori della letteratura "direttamente e senza passare dal via". Con l'hidalgo ha molte analogie: innanzitutto il suo amore sfrenato per la letteratura, per quanto più incline alla poesia che alla prosa (è importante sottolineare che sia la versione originale sia la prima traduzione italiana del 1898 a cura di Mario Giobbe erano in versi); entrambi gli uomini poi hanno sentimenti cavallereschi e sono innamorati di una dama, senza essere però ricambiati.
Cirano è prepotente, smargiasso, con un irrefrenabile istinto suicida che lo porta ad affrontare anche cento uomini armati da solo, è orgoglioso e permaloso, tanto da ritenere un affronto al suo naso, punibile con la morte, anche il semplice estrarre un fazzoletto dal taschino. Ma Cirano è anche dolce, romantico, acculturato e talmente altruista da anteporre la felicità di Rossana sia ai suoi stessi sentimenti sia alla realtà (ovvero che Cristiano, pur essendo bellissimo, non è assolutamente in grado di esprimersi come lei vorrebbe), costruendo per lei un'illusione.
Ma l'abilità di Rostand non si è limitata a caratterizzare in maniera splendida i protagonisti della sua "commedia eroica in cinque atti": anche personaggi secondari, come ad esempio il pasticcere-rosticcere Ragueneau, talmente amante della poesia da accettare brevi versi come pagamento per i suoi manicaretti, o addirittura alcune comparse che fungono quasi da "macchiette" contribuiscono ad accrescere ulteriormente la bellezza di quest'opera.
Non a caso, dalla sua prima rappresentazione del 28 dicembre 1897 Cirano di Bergerac è stato rappresentato innumerevoli volte sia a teatro sia al cinema. Perché, oltre allo stile ed alla bellissima caratterizzazione dei personaggi sopracitati, è proprio il concetto stesso di Cirano che da allora affascina tanto: come ne La bella e la bestia, la bellezza interiore non sempre corrisponde a quella esteriore, e viceversa. Ognuno poi può decidere quale delle due scegliere, non solo per il proprio compagno (o la propria compagna), ma anche per le piccole cose quotidiane.
Ad esempio, ci sono sicuramente centinaia di edizioni di Cirano di Bergerac: alcune saranno bellissime, brossurate magari, stampate su carta raffinata. Ma io alla mia copia, tutta spiegazzata ormai, che acquistai circa quindici anni fa per appena 1.000 lire, non rinuncerei mai.

BW

Nella nostra libreria:
Edmond Rostand
Cirano di Bergerac (Cyrano de Bergerac)
ed. Tascabili Economici Newton
97 pag.
traduzione di Franco Cuomo

   

venerdì 21 marzo 2014

Il grande Gatsby - Francis Scott Fitzgerald (1925)

"Quando ti viene voglia di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu."
Il padre di Nick Carraway

TRAMA
Nick Carraway, giovane broker di Wall Street, è il vicino di casa, a Long Island, di Jay Gatsby, ricco uomo d'affari (non sempre leciti) con l'abitudine di tenere ogni fine settimana enormi feste a cui partecipano innumerevoli persone.
Una sera anche Nick viene invitato a partecipare al party del vicino, e da lì i due uomini stringono un legame di profonda amicizia. Approfondendo la sua conoscenza, Carraway scopre che Gatsby ha un solo desiderio: riconquistare il suo amore di sempre, Daisy.
Ma Daisy è sposata con Tom, con il quale ha avuto anche una bambina. Certo, il marito la tradisce con Myrtle, la moglie del meccanico; ma basterà questo a Gatsby per riconquistare la donna, dopo cinque anni che non si vedono?

RECENSIONE
Peccato. Peccato davvero, perché molto mi aspettavo da questo romanzo. In fin dei conti, Il grande Gatsby è forse stato il film del 2013, tanto reclamizzato e con un enorme successo al botteghino; e così, pur non avendo (apposta) visto la versione su pellicola, quando ho visto la ghiotta offerta della Newton Compton (grandissima idea, la collana di libri a 99 cent!) non ho resistito e mi sono tuffata a capofitto tra le pagine di questo libro, aspettandomi una trama ed uno stile degni della sua fama.
E invece temo di aver puntato troppo in alto, perché il promesso capolavoro si è rivelato ai miei occhi un romanzo noioso e banale, con una trama che sembra uscita dagli sceneggiatori della già citata Tempesta d'Amore.
Credo che proprio la trama sia il punto debole de Il grande Gatsby, perché lo stile di Fitzgerald di per sé non sarebbe malvagio; naturalmente non ci si può aspettare che sia incalzante come se fosse stato scritto di recente: si tratta di un libro che ha pur sempre 89 anni, e sarebbe stupido e ridicolo non tenerne conto.
Sono piuttosto i suoi personaggi, a partire proprio da Jay Gatsby e Daisy, a non essere convincenti. Immagino che nelle intenzioni dell'autore il protagonista dovesse avere il ruolo di enfant terrible, come la sua amata quello di femme fatale. Ma mentre lui risulta semplicemente sbruffone e un po' patetico, lei interpreta perfettamente il ruolo della "bella stupidina" che tanto ambisce per la propria figlioletta. E d'altro canto nemmeno i loro "antagonisti", Tom e Myrtle, se la cavano meglio.
Torno a ribadire il concetto che si tratta esclusivamente di un'opinione personale, fatta da una persona che non ha studiato letteratura americana e che quindi si è approcciata a questo libro con la semplice fame di lettura che attanaglia un BookWorm come me. Ma ciò non toglie che, con mio grande rammarico, Il grande Gatsby non sia riuscito a conquistare il mio cuore, ma solamente un posticino nella nostra libreria.

BW

Nella nostra libreria:
Francis Scott Fitzgerald
Il grande Gatsby (The Great Gatsby)
ed. Newton Compton
125 pag.
traduzione di Bruno Armando

   

giovedì 20 marzo 2014

Traditori di tutti - Giorgio Scerbanenco (1966)

ATTENZIONE!!! Il libro di cui stiamo per parlare è il secondo della Quadrilogia di Duca Lamberti. Se non avete letto il precedente, intitolato Venere privata, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.


 "...anche con un bocciuol di rosa si può soffocare una persona, se glielo si spinge abbastanza in fondo alla gola."
Giorgio Scerbanenco

TRAMA
É uno strano individuo quello che si presenta nello studio di Duca Lamberti, ex medico radiato dall'Ordine e che sta pensando di seguire le orme paterne entrando in Polizia. Silvano Solvere, questo è il suo nome, si rivolge a lui su consiglio dell'avvocato Turiddu Sompani, che Duca aveva conosciuto in carcere e che reputava "repellente", per una questione piuttosto insolita.
Duca infatti dovrà, dietro lauto compenso, ricostruire l'imene ad una ragazza che deve sposarsi e far credere al futuro marito, un ricco commerciante di carni della zona, di essere ancora illibata. L'ex medico, anche se non molto convinto, alla fine accetta in quanto estremamente bisognoso di denaro.
La ragazza che deve sottoporsi all'intervento, Giovanna Marelli, si reca quindi da Duca portando con sè una valigetta e chiedendo di poterla lasciare lì, spiegando che sarebbe passato a ritirarla Silvano il giorno dopo. Il dottor Lamberti, che sente puzza di bruciato, acconsente ma fa sorvegliare i movimenti della giovane da Mascaranti, uomo fidato del commissario Carrua. 
Così si viene a sapere che l'avvocato Sompani, a quanto pare, è annegato qualche sera prima insieme ad un'amica dentro ad una Fiat 1300 finita in un canale nella campagna pavese, e che la famosa valigetta si trova ancora a casa di Duca perchè Silvano non è venuto a prenderla. E non verrà mai, dal momento che qualcuno ha riempito di piombo l'auto sulla quale viaggiavano lui e Giovanna, ammazzandoli entrambi. Una miriade di inquietanti interrogativi affollano ora la mente di Duca Lamberti.
Perchè Silvano ha affermato di essere grande amico dell'avvocato Sompani, senza minimamente accennare al fatto che quest'ultimo fosse morto già da qualche giorno? C'è qualche legame tra la strana operazione che ha dovuto eseguire e la tragica morte della ragazza? E soprattutto, cosa contiene quella misteriosa valigetta custodita nel suo studio e che nessuno è riuscito a ritirare?

RECENSIONE
Uno scrittore è grande quando riesce ad anticipare i tempi, quando coglie cioè prima degli altri l'aria che tira; ed in questo (ma non solo) Giorgio Scerbanenco era senza dubbio uno scrittore vero. Traditori di tutti venne pubblicato nel 1966, in un'epoca in cui l'Italia non aveva ancora perso la propria innocenza, cosa che avverrà qualche anno più tardi (per la precisione circa un mese e mezzo dopo la prematura scomparsa dell'autore italo-ucraino) con la strage di Piazza Fontana, che diede il via ai tristemente famosi "anni di piombo" e che fece precipitare il Paese in una spirale di violenza inaudita e terrificante. Scerbanenco, con i suoi romanzi (specie quelli del ciclo di Duca Lamberti) aveva probabilmente capito che la società italiana stava cambiando e che in breve si sarebbe passati dagli episodi di malavita della quale erano protagonisti pochi ed isolati "sbandati" ad un'esplosione di ferocia e di criminalità incontrollata, come effettivamente poi avvenne. La stessa Milano dei suoi racconti non è più, come qualcuno insisteva a dipingerla, la città laboriosa che ospita al massimo qualche elemento folkloristico della vecchia ligera, ma è divenuta ormai un ritrovo di pericolosissimi delinquenti di ogni tipo, come è anche facile immaginare che accada in una metropoli di quasi due milioni di abitanti.
Traditori di tutti ci racconta questa fase di passaggio, col solito stile sobrio ed essenziale del suo autore, con una caratterizzazione dei personaggi ancora più profonda e riuscita rispetto a Venere privata e, sempre rispetto a quest'ultimo, ci offre una storia che trasuda molta più brutalità e violenza, e che si spinge oltre fino all'utilizzo di effetti grandguignoleschi. La trama poi, in apparenza intricata, si snoda in un finale nitido e che funge quasi da colpo di scena, pur non essendo tale. Mi rendo conto che ciò che ho appena scritto non è che sia molto chiaro, ma non posso proprio dire di più o rischierei di rovinarvi il piacere di scoprire da voi i retroscena di questa torbidissima vicenda.
Questo, tra le altre cose, è anche un libro nel quale si percepisce la rabbia, la frustrazione e l'indignazione di chi è tenuto a far rispettare la legge, ma che spesso viene messo in una condizione di impotenza. Traditori di tutti, che in Francia vinse anche il prestigiosissimo Grand prix de littérature policière narra in modo molto crudo, e a volte anche con un briciolo di retorica (comprensibile visti i tempi in cui venne dato alle stampe), una storia dura di gente spietata e di quelli che danno loro la caccia, i poliziotti cioè, uomini risoluti e che non disdegnano di fare ricorso alle maniere forti; insomma dei veri e propri antieroi in tutto e per tutto.
Per appassionati e cultori del genere, un libro semplicemente imprescindibile.

BF


Nella nostra libreria:
Giorgio Scerbanenco
Traditori di tutti
ed. Garzanti
224 pag.