BW&BF

lunedì 4 agosto 2014

I giocatori di Titano - Philip K. Dick (1963)

"<<Cos'hai letto nel mio inconscio, Pat?>>
<<Una... sindrome di azione potenziale. Se fossi una pre-cog potrei dirti di più. Forse lo farai, forse no. Ma...>> Alzò gli occhi su di lui. <<È un atto violento, e ha a che fare con la morte.>>"
Pete Garden e Patricia McClain

TRAMA
In uno degli innumerevoli futuri imprecisati tanto cari sia a Dick, che a molti altri autori di science fiction, il numero degli abitanti della Terra si è enormemente ridotto a causa di una guerra globale che ha visto i cinesi utilizzare le temutissime Radiazioni Hinkel, rendendo in questo modo sterile la stragrande maggioranza della già esigua popolazione mondiale.
In seguito il nostro pianeta viene invaso dai Vug del pianeta Titano, una razza extraterrestre estremamente intelligente che nell'aspetto ricordano vagamente delle grosse amebe. Gli umani sopravvissuti alla catastrofe intanto si fanno asportare la ghiandola di Hynes per rallentare l'invecchiamento e giocano in modo maniacale a Bluff, una via di mezzo tra il poker ed il Monopoli, dove si possono vincere intere proprietà, città e regioni e ci si scambia anche le mogli. Tutto questo al fine di cercare di ripopolare il più possibile il pianeta attraverso le poche donne fertili rimaste, cosicchè ogni volta che una donna pesca la "fortuna", così si dice quando essa scopre di essere incinta, la notizia assume i contorni di un grande avvenimento che viene comunicato anche attraverso le radio ed i giornali.
Pete Garden è un giocatore che durante una mano particolarmente sfortunata ha appena perso sia la moglie sia l'amata proprietà di Berkeley, finita al Vincolato (padrone) di New York, un individuo disprezzato da molti per diversi motivi, di nome Jerome "Lucky" Luckman. Garden, già in preda ad una forma di depressione per non essere ancora riuscito ad avere la "fortuna" nonostante le diciotto partner che ha avuto, è disposto a tutto pur di riprendersi Berkeley. Arriva così a chiedere aiuto ad un ex campione di Bluff ridotto sul lastrico proprio da Luckman, il quale aspetta l'occasione per rifarsi con gli interessi sul rivale newyorkese.
Su tutto questo i Vug, che paiono esseri bislacchi e goffi ma pacifici, si limitano ad assicurarsi che tutto si svolga secondo le regole. Ma queste creature sono veramente pacifiche come sembrano? E se dovesse accadere qualcosa al tanto odiato Luckman ed i sospettati non fossero in grado di fornire un alibi perchè "non ricordano nulla", cosa succederebbe?

RECENSIONE 
Romanzo pubblicato nel 1963, l'anno dell'omicidio di Kennedy (evento che sconvolse profondamente Dick), I giocatori di Titano  risente a mio avviso ancora moltissimo dell'atmosfera tipica della fantascienza del decennio precedente. L'"Incubo Rosso", questa volta incarnato dalla Cina, è ancora ben presente ed il terrore di una catastrofe nucleare imminente è ancora vivo nell'immaginario della gente dell'epoca. Del resto è tutto ampiamente comprensibile, se pensiamo che la crisi della Baia dei Porci era andato in scena solo qualche mese prima.
Un romanzo di science fiction che per certi versi ricalca un po' altri lavori di Dick, soprattutto come ambientazione, ma che al contempo ci mostra un autore già proiettato nel futuro, per mezzo di alcuni elementi che qui iniziano ad essere introdotti in maniera consistente (il tema della religione, le droghe, la diversa percezione del reale), e che nelle opere seguenti dello scrittore americano verranno sviluppati massicciamente.
In più in questo libro Dick ci dà anche un piccolo saggio della propria verve ironica, solitamente poco conosciuta ma davvero notevole, creando alcuni piccoli siparietti comici tra gli umani e le macchine intelligenti, che ne I giocatori di Titano svolgono in tutto e per tutto il ruolo delle "colf" e che provvedono a tutte le incombenze domestiche.
Purtroppo però devo dire che tutto quanto di buono Dick è riuscito a creare in questo libro viene un po' scalfito ed a tratti vanificato da una trama sviluppata in maniera decisamente caotica e poco uniforme, nella quale a geniali intuizioni e colpi di scena ben congegnati si susseguono lunghe fasi di stanca durante le quali la noia la fa un po' da padrone. 
Peccato, perchè tutto sommato credo che questo, se curato adeguatamente, avrebbe potuto essere un piccolo grande capolavoro della fantascienza, e non il romanzo di transizione che in effetti è.
A scusante del grande Dick però va detto che il nostro spesso scriveva in condizioni di stress veramente insostenibili e, soprattutto durante gli anni sessanta, era letteralmente costretto a produrre il maggior numero di racconti possibile per cercare di sbarcare il lunario. Più che normale quindi che, tra i creditori alla porta e qualche editore particolarmente pressante, il povero Philip a volte fosse un po' costretto a "riscaldare la minestra".
In ogni caso da leggere, anche perchè un libro mediocre di Dick è pur sempre infinitamente migliore di tanta altra roba ben più celebrata. 

BF

Nella nostra libreria:
Philip K. Dick
I giocatori di Titano (The Game-Players of Titan)
ed. Fanucci Editore
216 pag.
traduzione di Anna Martini



domenica 3 agosto 2014

L'odissea del volo 33 - Rod Serling (1961)

"Ho avvertito qualcosa. Qualcosa di strano. Una specie di... accelerazione."
Il comandante William Farver

TRAMA
In un tranquillo pomeriggio di giugno del 1961, il volo Trans-Ocean 33 parte da Londra, destinazione: Idlewild, New York. L'aereo è un Boeing 707, il comandante, William Farver, è un esperto con un attivo di diverse centinaia di migliaia di ore di volo.
Tutto sembra sereno e tranquillo, quando all'improvviso, a poco più quaranta minuti dall'arrivo, le orecchie (o il sesto senso) di Farver gli fanno percepire qualcosa di insolito. Apparentemente non c'è nulla che non vada, ma quando l'ufficiale di rotta controlla la velocità scoprono che inspiegabilmente stanno viaggiando a 830 nodi, ovvero 290 in più del previsto, e la velocità continua ad aumentare, come se l'aereo fosse spinto da un vento fortissimo.
Il Boeing continua ad accelerare, finché all'improvviso c'è un lampo di luce bianca, abbagliante. L'aereo sussulta un po', ma in compenso si stabilizza, come se non avesse mai accelerato.
Tutto a posto allora, anzi, forse è meglio così, in pochi minuti sono riusciti ad arrivare. Perché quella che si vede è l'isola di Manhattan, giusto?

RECENSIONE
Per la prima volta da quando è nato questo blog, parliamo di un racconto breve. Vi confesso che la scelta è frutto anche della mancanza di tempo che, come forse avrete notato dal fatto che ultimamente non riusciamo più a postare verso l'ora di pranzo (ora italiana), in questo ultimo periodo ci affligge.
Ma anche se non ci fosse il fattore tempo, era mia intenzione comunque prima o poi proporre uno ad uno i racconti racchiusi nell'antologia di fantascienza Il passo dell'ignoto, a cura dei compianti Fruttero & Lucentini. Si tratta di una vera e propria chicca che ho avuto la fortuna di trovare anni fa a Torino, su una bancarella del Balon. Ero andata il giorno prima in quella bellissima città per la celeberrima Fiera del Libro, con una valanga di curricula da neolaureata, per cercare lavoro come traduttrice. Il lavoro non è mai arrivato, ma anche solo per questo libro (che tecnicamente è di BarFly, dal momento in cui gliel'ho regalato) posso dire che sia valsa la pena andare fin là.
Chiusa la parentesi torinese, passiamo a parlare de L'odissea del volo 33. Il suo autore, Rod Serling, è celebre per essere il creatore della serie televisiva Ai confini della realtà, e proprio da uno dei suoi episodi sembra uscito questo racconto.
Una premessa che forse avrei dovuto fare (troppo tardi!) è che questa storia non è adatta alle persone che hanno paura di volare. A meno che non siano masochiste come me, e decidano di leggerla ugualmente, pur sapendo che dopo potrebbero vivere con ancora più ansia ogni volo. Dev'essere quello stesso istinto che ti fa sbirciare attraverso le dita quando ti copri gli occhi durante una scena splatter in un film dell'orrore.
Il racconto comunque è scritto magnificamente, in uno stile asciutto, quasi documentaristico, che lascia ogni riflessione e considerazione al lettore. Serling è davvero bravo in questo, focalizzando tutta l'attenzione su ciò che accade, ed in questo modo si ha ancora di più l'impressione di essere lì, sul volo Trans-Ocean 33 Londra-New York, magari proprio nella cabina di pilotaggio insieme a Farver ed agli altri piloti ed ufficiali. Ma, com'è naturale per uno come lui, l'autore ovviamente non poteva proporre un banale incidente aereo: al contrario, si diverte a giocare con la fisica, con la teoria della relatività di Einstein.
Non voglio dirvi di più, il racconto è breve e se aggiungo altro praticamente vi svelo tutto. L'unica cosa che posso fare e consigliarvi nuovamente di leggere questo racconto, figlio di un'epoca in cui l'uomo davvero guardava lo spazio con ammirazione e allo stesso tempo con ansia, sognando un futuro con macchine volanti, robot dalle sembianze umane e gite della domenica su Marte e sulla luna.

BW

Nella nostra libreria:
Rod Serling
Dalla raccolta "Il passo dell'ignoto. Un omnibus di fantascienza a cura di Carlo Fruttero & Franco Lucentini"
L'odissea del volo 33 (The Odissey of Flight 33)
ed. Mondadori
18 di 630 pag.
traduzione di Eladia Rossetto

     

sabato 2 agosto 2014

Carmilla - Joseph Sheridan Le Fanu (1872)

"<<Prodigioso! [...] Dodici anni fa m'apparve in sogno il tuo volto e da allora mi ha sempre perseguitato.>>
<<Prodigioso davvero! [...] Anch'io ti ho vista dodici anni or sono, in una visione o nella realtà. Non ho dimenticato il tuo volto, da allora l'ho sempre avuto innanzi agli occhi.>>"
Carmilla e Laura

TRAMA
Laura è una ragazza di origini inglesi che vive, insieme al padre, nel loro schloss, un castello nella Stiria austriaca. Orfana di madre sin dalla più tenera età, soffre per la mancanza di coetanee con le quali trascorrere il suo tempo. È dunque con gioia che riceve la notizia che il generale Spieldorf, amico di suo padre, recherà loro visita insieme alla nipote; ma ahimè! l'improvvisa e inspiegabile morte della fanciulla le impedisce di ricevere l'amica. Poco tempo dopo però una carrozza, trainata da cavalli imbizzarriti, si schianta proprio davanti alla dimora del padre di Laura. I viaggiatori sembrano tutti illesi, ma una ragazzina di nome Carmilla, che già era convalescente da una malattia, risente dell'incidente. La madre, una misteriosa nobildonna, deve però proseguire il viaggio; Laura prega dunque il padre di ospitare Carmilla fin quando la madre non tornerà per permetterle di guarire e rimettersi.
Tra le due giovani nasce subito una profonda amicizia, che quasi sfiora un platonico amore saffico; ma Carmilla è strana, con delle bizzarre abitudini. E come se non bastasse, nel villaggio vicino uno strano morbo comincia a colpire, mietendo sempre più vittime che passano da uno stato di perfetta salute al decesso in poche notti piene di allucinazioni.
Cosa si nasconderà dietro ai segreti che cela Carmilla?

RECENSIONE
Per giudicare un libro, come credo di aver già detto, occorre innanzitutto contestualizzarlo; abituati sino alla noia come siamo oggi a libri e film incentrati su vampiri, lupi mannari e compagnia bella, un lettore che nulla sapesse di Carmilla potrebbe sorridere davanti a certe trovate dell'autore. Ma va ricordato che questo romanzo precede di un quarto di secolo il famoso Dracula di Bram Stoker che contribuì a rendere celeberrima la figura del vampiro in tutto il mondo. E allora la storia di un vampiro, anzi, una vampira come Carmilla diventa importante se non addirittura fondamentale per la storia della letteratura.
Le Fanu ha avuto poi la geniale quanto semplice intuizione di giocare con la natura del Doppelgänger anagrammando più volte il nome della protagonista per giustificarne le apparizioni nei secoli; non solo: la stessa Laura, narratrice della vicenda, è una sorta di alter-ego di Carmilla, il suo lato buono, innocente, che ancora non ha perso l'ingenuità della fanciullezza, tanto che entrambe le ragazze discendono dalla famiglia dei Karnstein. Si potrebbe dire che l'autore abbia riproposto il classico tema della dualità bene-male, elaborandolo però con questo nuovo (per allora) mostro contrapposto all'essere umano.
Un altro elemento assolutamente audace per l'epoca è inoltre il rapporto tra le due ragazze: ovviamente per motivi di censura mai si allude ad una sessualità lesbica, ma si allude piuttosto ad un amore tra sorelle, tuttavia intensissimo. Ciononostante, alla vampira sfugge una confessione che in tempi ben più moderni avrebbe fatto rizzare i peli sulla nuca a ben più di un benpensante: "Non sono stata innamorata di nessuno, né lo sarò mai [...] a meno che non si tratti di te."
Al di là comunque della sua importanza storico-letteraria, Carmilla è un romanzo godibilissimo e modernissimo nonostante il suo stile vittoriano, che credo che qualsiasi appassionato di letteratura gotica non dovrebbe farsi assolutamente sfuggire.

BW

Nella nostra libreria:
Joseph Sheridan Le Fanu
Carmilla (Carmilla)
ed. Sellerio Editore
144 pag.
traduzione di Attilio Brilli

 

venerdì 1 agosto 2014

Sunset Limited - Cormac McCarthy (2006)

"NERO: Mi sa che tu non vuoi essere felice.
BIANCO: Felice?
NERO: Sì. Felice è una brutta parola?
BIANCO: Dio santo
NERO: Che c'è? Ho toccato un tasto dolente? Cos'hai contro la felicità?
BIANCO: È contraria alla condizione umana."
Cormac McCarthy

TRAMA
L'intera storia è ambientata in uno squallido monolocale di New York. Due uomini, dei quali non conosciamo i nomi ma che vengono chiamati "Bianco" e "Nero" per il colore della pelle, sono seduti ad un tavolo e parlano.
Dalla conversazione si intuisce che Nero, un operaio ex galeotto ed ex alcolista, ha appena salvato la vita a Bianco, che aveva intenzione di uccidersi buttandosi sotto ad un treno.
Nero, profondamente religioso, cerca di dissuadere Bianco, un uomo di grande cultura ma estremamente cinico ed infelice, a ritentare l'insano gesto. 
Ne scaturisce pertanto un lungo botta e risposta su temi quali l'infelicità, il diritto al suicidio e l'esistenza di Dio.

RECENSIONE
Nato originariamente come testo teatrale rappresentato per la prima volta a Chicago nel maggio 2006, quest'opera di McCarthy ebbe un buonissimo riscontro di pubblico e di critica e venne replicata svariate volte in molte città. Nel novembre 2010 andò in scena anche a Bologna, all'Arena del Sole, mentre è del 2011 la trasposizione cinematografica curata da Tommy Lee Jones, con lo stesso Tommy Lee Jones che interpreta la parte del "Bianco" e il grandissimo Samuel L. Jackson nel ruolo del "Nero".
La lettura non è delle più semplici, proprio perchè pone il lettore di fronte a domande scomode ed inquietanti, pertanto Sunset Limited è, come molti altri lavori di McCarthy, un qualcosa da affrontare solo quando si è nella giusta predisposizione d'animo.
C'è molta filosofia in Sunset Limited, ma è un tipo di filosofia "bassa", che viene dalla strada e che tutti riescono a comprendere anche senza essere costretti a consultare i volumi dei grandi pensatori. 
E poi c'è molta, moltissima religione. O forse sarebbe più corretto dire che si tratta di un continuo dibattito su Dio visto da due persone con una visione d'insieme totalmente opposta.
Bianco e nero quindi, ma non è solo riferito al colore della pelle dei due protagonisti, probabilmente McCarthy ha voluto utilizzare questa metafora per indicare le profonde differenze tra i due.
Il libro che, a mio giudizio, per essere apprezzato appieno necessita di qualche rilettura, è in ogni caso un vero giacimento di aforismi e battute che inchiodano l'immaginazione di chi legge e che gli fa pensare più di una volta: "Ma perchè non ci sono arrivato prima? Eppure è evidente!". 
Prendetevi il giusto tempo quindi, perchè nonostante sia un racconto piuttosto breve, Sunset Limited richiede una certa tenacia. 
Un testo molto introspettivo e che comunque credo sia destinato a suscitare tantissimi interrogativi e che, almeno a me, ha lasciato una strana sensazione di malinconia e tristezza.

BF

Nella nostra libreria:
Cormac McCarthy
Sunset Limited (The Sunset Limited)
ed. Einaudi
119 pag.
traduzione di Martina Testa

 


giovedì 31 luglio 2014

Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo - Jerome K. Jerome (1895)

"Quando non giocava a tennis o si esercitava a giocare a tennis, o leggeva cose di tennis, parlava di tennis. A quel tempo, il personaggio più importante del mondo tennistico era Renshaw, e continuò a nominarmi Renshaw fino a che, in cuor mio, non crebbe un cupo desiderio di uccidere Renshaw, senza farmi né sentire né vedere, e quindi seppellirlo.
In un pomeriggio di pioggia intensa mi parlò di tennis per tre ore filate. Dopo il tè accostò la sedia alla finestra, accanto a me, e attaccò:
<<Avete mai notato il modo in cui Renshaw...>>
Io dissi:
<<Ammettiamo che uno prenda un fucile - parlo di uno con un'ottima mira - vada da Renshaw e gli spari, facendolo secco, voi tennisti riuscireste a scordarvelo e a parlare di qualcos'altro?>>
<<Oh, ma chi sparerebbe mai a Renshaw?>> disse indignato.
<<Non importa, ammettiamo che qualcuno lo faccia>>
<<Bè, allora ci sarebbe suo fratello>> rispose.
Me n'ero dimenticato."
Jerome Klapka Jerome (da 'Il cultore di hobby')

RECENSIONE
Amici generosi ma casinisti, persone altruiste fino a risultare moleste, signorine capricciose. E ancora: mogli dispotiche, bambini terribili, gatti diabolici...
È tutto racchiuso qui, in breve, il mondo di Jerome. Ed è sempre da qui che lo spassosissimo scrittore inglese prendeva spunto per i suoi divertenti racconti altamente vietati a chi è abituato a prendersi troppo sul serio. La sublime arte dello sberleffo, della presa in giro alle mode e alle manie che già allora imperversavano nel Regno Unito, il tutto raccontato con un sarcasmo spesso davvero graffiante ma mai offensivo. 
In questo volumetto di un centinaio di pagine troviamo una serie di brevi storie che Jerome scriveva abitualmente per alcune riviste con lo scopo di raggranellare qualche sterlina in più durante i periodi "di magra". Ma, sebbene non siamo certamente ai livelli altissimi di I pensieri oziosi di un ozioso o della sua opera più nota, quel Tre uomini in barca scritto quasi per scherzo, si commetterebbe un grave errore a considerare questa raccolta come un libro di "serie B" o, ancora peggio, un banale riempitivo per completare una sezione della libreria.
Già perchè, se è pur vero che in Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo sono presenti un paio di racconti un po' di maniera, va anche detto che diversi episodi sono, ancora una volta, tutti da ridere. Un esempio lampante in tal senso è senza dubbio L'uomo che "badava" oppure L'uomo distratto, stupendi resoconti delle nevrosi e delle ossessioni che già alla fine del XIX secolo colpivano l'uomo moderno, come avviene anche in L'uomo abitudinarioLo spirito di Whibley o ne Il cultore di hobby, dove viene analizzata e messa in ridicolo la frequente tendenza dell'adulto a divenire a tutti gli effetti una vittima dei propri riti, delle proprie credenze e delle proprie passioni.
Nella bellissima prefazione a questo volume a cura di Francesco Piccolo, c'è un passaggio assolutamente illuminante che credo valga la pena di riproporre:
"In tempi bui, ha più valore anche il mondo di Jerome. In tempi bui, stuzzicare buonumore, intelligenza e analogie impensabili, è una specie di beneficenza per l'umanità." 
E allora, se per caso vi sentite un po' giù pensando alle miserie dell'attuale comicità italica fatta principalmente di stantii luoghi comuni e battute squallide, lasciatevi andare, rilassatevi e fatevi condurre dalla sapiente mano di uno dei più grandi umoristi di sempre, senza deprimervi troppo perchè "non può piovere per sempre", oppure, per citare lo stesso Jerome, è risaputo che:
"Ogni medaglia ha il suo rovescio, come disse quell'uomo a cui presentarono il conto per il funerale della suocera".
Ed ora pensate a Zelig, Colorado o ai benvenuti al sud/nord e altre amenità del genere che molti hanno pure il coraggio di spacciare per "comicità intelligente".
Ok, deprimetevi pure.

BF

Nella nostra libreria:
Jerome K. Jerome
Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo. Storie e bozzetti in verde, blu e lavanda (Sketches in Lavander, Blue and Green)
ed. Edizioni Spartaco
109 pag.
traduzione di Giovanni Giri




mercoledì 30 luglio 2014

500 cose che mi ha detto il gatto - Adam Post (2012)

"Ebbene sì, parlo con il mio gatto. E allora? Il fatto è che... il piccolo tiranno l'adorabile creatura è così espressiva che sembra rispondermi."
Adam Post

RECENSIONE
Leggendo le prime, accattivanti righe di 500 cose che mi ha detto il gatto non si può non incuriosirsi e provare l'irrefrenabile desiderio di scoprire cosa si cela dietro questo curioso titolo.
Ebbene, ESATTAMENTE QUELLO CHE DICE: 500 "aforismi", o immaginarie citazioni, imputate ai gatti da migliaia e migliaia di padroni in tutto il mondo.
E così, si va da:
"20 Prendimi in braccio"
a:
"21 Okay, adesso puoi rimettermi giù"
"22 Ho detto adesso!!!"
e così via, per 500 brevi frasi.
L'idea di per sè è anche carina, e sicuramente ai possessori di questi strani esseri pelosi strapperà qualche sorriso, perché davvero i mici, a volte, sembra che ti parlino, non solo con i loro miagolii, ma anche e soprattutto con il linguaggio del corpo.
Fatto sta però che dopo un po' (almeno questo è valso per la sottoscritta) ci si stufa, e viene da riporre il libro, senza troppi rimorsi. Nell'introduzione l'autore dice di aver eliminato nella seconda edizione le foto che erano presenti nella prima (erano comunque solamente tre); al loro posto, accanto o sopra ogni aforisma, c'è un piccolo disegno di un gatto. Ahimé, però, il disegno non rispecchia affatto, come avevo creduto in un primo momento, la relativa frase, bensì è fine a sé stesso: un vero peccato, perché il contrario avrebbe reso molto più interessante l'opera, che avrebbe potuto essere utilizzata come una sorta di "dizionario" felino-umano.
Il libro può comunque essere un'idea originale come regalo da fare ad un gattofilo, anche se va detto che non è proprio portafoglio-friendly: 8,90 € sono un filo eccessivi per un'opera di questo genere. Almeno, così mi ha detto il mio gatto.

BW

Nella nostra libreria:
Adam Post
500 cose che mi ha detto il gatto (500 things my cat told me)
ed. Magazzini Salani
167 pag.
traduzione di Silvia Banterle

martedì 29 luglio 2014

L'incanto del lotto 49 - Thomas Pynchon (1966)

"Forse alla fine sarebbe stato questo a ossessionarla di più: come tutto, logicamente, si combinava. Quasi che (lo aveva già indovinato in quel primo minuto a San Narciso) fosse in atto attorno a lei una rivelazione."
Thomas Ruggles Pynchon

TRAMA
La vita della casalinga californiana Oedipa Maas, sposata con il deejay radiofonico Wendell Maas, detto Mucho, viene stravolta il giorno in cui scopre di essere stata nominata esecutrice testamentaria da parte di Pierce Inverarity, ricchissimo imprenditore nonchè suo ex fidanzato.
Oedipa parte così per San Narciso, cittadina in cui si dovranno espletare tutte le relative pratiche e dove viene contattata dal co-esecutore, l'avvocato Metzger, bellissimo e con un passato da baby star di Hollywood. Per la giovane casalinga inizia così un'avventura a dir poco surreale dove, seguendo una lunga serie di indizi, verrà a conoscenza di una cospirazione vecchia addirittura di secoli.

RECENSIONE
Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata confrontarsi con un lavoro di Thomas Pynchon, da più parti considerato il padre della cosiddetta letteratura postmoderna, ero stato ampiamente avvertito in tal senso, però alla fine ho deciso di tentare ugualmente ed, ahimè, devo dire che ho perso la scommessa con me stesso. Qual'era la suddetta scommessa? Semplice: leggere e capire un libro dell'autore americano più schivo ed impenetrabile di sempre. Ho scelto così il romanzo che tutti gli esperti indicano come il più adatto per prender confidenza con lo stile schizoide di Pynchon, L'incanto del lotto 49, e mi vedo costretto ad ammettere che, purtroppo, non ci ho capito nulla. 
Leggo sulla rete elogi sperticati a questo autore e al valore di quest'opera (cose che non metto minimamente in discussione, sia chiaro) e mi sento davvero un povero stupido, possibile che sia l'unico ad averne ricavato nient'altro che un gran mal di testa? Intendiamoci, io non mi ritengo un critico o un esperto ma solo uno a cui piace leggere (anche cose coraggiose e fuori dagli schemi, come è senz'altro in questo caso), però dovendo dare un mio giudizio su L'incanto del lotto 49 non sarei onesto se dicessi che sono riuscito a cogliere ogni sfumatura e/o riferimento presenti in questo testo. 
Potrei mettermi a tessere le lodi della straordinaria inventiva dello scrittore di Glen Cove, del suo modo impareggiabile di trascinare il lettore all'interno di una lunga serie di scatole cinesi, potrei scopiazzare alla carlona la recensione di qualche critico illuminato tanto per darmi un tono di grande intenditore e di persona acutissima, ma il problema è che non farei altro che raccontare un sacco di balle. 
E allora preferisco passare da ignorante, ma onesto. Io non dico che questo libro sia bello o brutto, semplicemente perchè non sono riuscito a capirlo. Limite mio, ci mancherebbe... Evidentemente mi sono cimentato con qualcosa che attualmente va al di là delle mie possibilità. Cose che capitano. Sarei solo curioso di sapere tra tutti coloro che affermano che di questo romanzo si parlerà anche tra tre secoli e che paragonano Pynchon a qualcosa di simile ad un supergenio, in quanti abbiano davvero compreso il senso de L'incanto del lotto 49. Io non ne sono stato in grado e lo confesso sinceramente.

BF

Nella nostra libreria:
Thomas Pynchon
L'incanto del lotto 49 (The Crying of Lot 49)
ed. Einaudi Stile Libero
174 pag.
traduzione di Massimo Bocchiola 

 


lunedì 28 luglio 2014

Vita di una donna licenziosa - Ihara Saikaku (1686)

"Gli uomini con cui avevo stretto una relazione erano così numerosi da non poterli quasi ricordare, mentre esistevano donne che in tutta la loro vita conoscevano un unico uomo e che, se costui moriva, non cercavano un altro ma, colpite profondamente dal dolore della separazione dalla persona amata, lasciavano la loro casa per divenire monache."
La narratrice

TRAMA
Mentre si reca a Saga, l'autore si unisce a due uomini, entrambi tormentati dalle pene d'amore. I tre giungono ad una capanna nel bosco dove, solitaria come un'eremita, vive un'anziana donna.
Come una nipponica Shahrazād, la donna racconta ai tre le vicende della sua vita da cortigiana, dal suo massimo splendore, quando la sua sola compagnia fruttava denari, sete e doni preziosissimi, al suo declino.
Sesso, potere, arguzie, ma anche, e soprattutto, tanta psicologia: questi erano gli elementi necessari per vivere e sopravvivere come libertina nel Giappone feudale del periodo Edo.

RECENSIONE
È incredibile come un romanzo scritto nel XVII secolo possa risultare tanto moderno per certi aspetti: innanzitutto per i temi trattati, ovvero il sesso e l'erotismo, che nonostante la loro centralità vengono proposti quasi fuggevolmente, senza nulla dire ma lasciando intendere molto; ma la cosa che forse mi ha più colpita è la storia che si ripete sempre immutata, anche se i secoli passano e se ci si sposta di quasi diecimila chilometri: allora come oggi, in Giappone come in Italia, le donne con la fortuna di avere un aspetto gradevole potevano raggiungere posizioni di potere, oltre a guadagnare i beni più preziosi, grazie al loro corpo, non solo "giacendo con gli uomini", ma anche solo mostrandosi gentili con loro. Effettivamente non dovrebbe stupire così tanto, in fondo i quattro secoli appena che si separano dal mondo di Ihara Saikaku, paragonati alla storia dell'evoluzione dell'uomo, sono un tempo brevissimo; è dunque naturale l'istinto che ci spinge a comportarci in questo modo.
Darwinismo a parte, Storia di una donna licenziosa è un libro molto interessante dal punto di vista storico-culturale per tutti coloro che desiderino approfondire la loro conoscenza del Giappone feudale, grazie anche alle numerose note che integrano l'opera, anche se purtroppo sono tutte riportate in fondo ad essa, rendendo un po' meno scorrevole la lettura. Si può comunque ovviare a questo "problema" leggendo il romanzo per esteso e riprendendo le note solo alla fine, come ho fatto io.
Il volume è poi impreziosito ulteriormente dalle illustrazioni di Yoshida Hanbei, risalenti anch'esse al tardo XVII secolo.
Un'opera fuori dagli schemi, il cui fascino ha superato i secoli e le distanze, e che consiglio senza dubbio agli amanti del Paese del Sol Levante; ovviamente, purché si tratti di un pubblico adulto.

BW

Nella nostra libreria:
Ihara Saikaku
Vita di una donna licenziosa (好色一代女 - Kōshoku ichidai onna)
ed. ES
201 pag.
traduzione di Lydia Origlia

 

domenica 27 luglio 2014

La testa perduta di Damasceno Monteiro - Antonio Tabucchi (1997)

"<<Sa cosa diceva De Quincey?>>
<<Cosa diceva?>>
<<Diceva: se un uomo si lascia andare una volta a uccidere, molto presto arriverà a considerare cosa da poco la rapina, e da qui passerà al bere e a non osservare le festività, quindi a comportarsi in modo maleducato e a non rispettare gli impegni, una volta avviatosi per quella china non si sa dove andrà a finire, e molti devono la propria rovina a questo o a quell'assassinio al quale sul momento non avevano badato granchè. Fine della citazione.>>"
Avv. Mello Sequeira e Firmino

TRAMA
In una zona boscosa e malfamata di Oporto, un gitano di nome Manolo rinviene una mattina un cadavere decapitato. Il corpo, che reca evidenti segni di tortura, è vestito con scarpe da tennis, jeans ed una maglietta blu recante la scritta "Stones of Portugal". Della testa nessuna traccia. Firmino, giovane reporter del quotidiano di Lisbona O Acontecimento, viene inviato così sul posto per cercare di scoprire qualcosa di più su un crimine che presenta una serie di risvolti estremamente inquietanti. Qualche giorno dopo la testa viene ripescata nel Douro da un anziano pescatore. Il cranio, appartenente ad un ragazzo di nome Damasceno Monteiro, presenta un foro di proiettile. Cosa si cela dietro a questo mistero?

RECENSIONE
Antica e piena di fascino, adagiata tra l'Oceano ed il fiume Douro, Oporto è una città portoghese un po' atipica: industrializzata, patria del famoso vino, umida e d'inverno spesso nebbiosa, viene definita talvolta una sorta di piccola Londra lusitana. Ed è in una città così atipica, moderna ma al tempo stesso orgogliosa del proprio passato che Tabucchi inscena questo thriller altrettanto atipico. 
Col suo consueto stile asciutto e ricco di citazioni e rimandi, il romanziere toscano confeziona un'opera che in realtà è tante cose in una: indagine giornalistica, saggio, guida turistica, ricostruzione storica. Tutto quanto "mascherato" da romanzo giallo.
Infatti il colpevole ed il suo movente non tardano ad arrivare, ma l'impressione è appunto che in questo libro la trama narrativa sia quasi un piccolo espediente del quale Tabucchi fa un abilissimo uso per parlare di molto altro. Prendendo come spunto una vicenda realmente avvenuta, l'autore crea un personaggio davvero memorabile, l'avvocato Mello Sequeira, obeso e difensore degli emarginati, capace di ragionamenti bizzarri eppur geniali allo stesso tempo (fantastico il paragone tra le discussioni alla sede dell'ONU ed il gioco di carte del Milligan), che pare uscito direttamente da Testimone d'accusa di Billy Wilder. L'avvocato Sequeira è lo strumento di cui Tabucchi si serve per elencare ad esempio una triste lista di feroci abusi perpetrati nelle caserme e nei commissariati di tutto il mondo, indipendentemente dal credo politico degli aguzzini che si rendono responsabili di simili bestialità in quanto "La tortura può venire da ogni parte, è questo il vero problema".
E poi, come frequentemente avviene nei libri del compianto autore di origine pisana, anche ne La testa perduta di Damasceno Monteiro assistiamo ad un sincero e profondo atto d'amore per il Portogallo, la sua gente e le sue tradizioni. Ma questa volta il sipario si alza su Oporto, che rivaleggia da secoli con la più raffinata e superba Lisbona, e Tabucchi ci rende meravigliosamente partecipi anche di questo: un po' di sano e fiero campanilismo tra una città che all'apparenza contrappone la sostanza, una città "dove i tassisti non sono ladri, come a Lisbona..." e che propone una cucina rustica a base di trippa rispetto a quella incentrata sul celebre bacalhau della capitale.
Al di là del mio giudizio su questo libro, comunque più che positivo, una cosa che credo vada sottolineata è che a me Tabucchi ha messo addosso una gran voglia di visitarla davvero, Oporto. E se questo in futuro succederà, dovrò solo ringraziare La testa perduta di Damasceno Monteiro.

BF

Nella nostra libreria:
Antonio Tabucchi
La testa perduta di Damasceno Monteiro
ed. Universale Economica Feltrinelli
238 pag.


sabato 26 luglio 2014

Assassinio sull'Orient Express - Agatha Christie (1934)

"Signor Ratchett, voglia scusarmi se vengo a un argomento personale; ma vede, non posso accettare la sua proposta perchè la sua faccia non mi piace."
Hercule Poirot

TRAMA
Appena arrivato a Istambul di ritorno da Aleppo, dove ha appena concluso un incarico, Hercule Poirot vuole finalmente godersi un po' di meritate vacanze; ma, ahimé!, arrivato all'hotel dove ha prenotato una stanza trova un telegramma che lo prega di tornare urgentemente a Londra. Un po' seccato per l'imprevisto, il piccolo investigatore riesce a prendere l'ultimo dei posti disponibili sul celeberrimo Orient Express, che, stranamente per quel periodo, registra così il tutto esaurito.
A bordo il belga scopre che i passeggeri formano un variegato melting pot, in cui uomini e donne di diversa nazionalità, ceto sociale ed età trascorrono insieme i tre giorni che occorrono per arrivare a Parigi. Tra di essi c'è anche il misterioso Signor Ratchett, un anziano dai lineamenti crudeli e malvagi, sul quale Lombroso avrebbe probabilmente scritto interi trattati. L'uomo, riconosciuto l'investigatore, gli chiede di fargli da guardia del corpo, sostenendo di essere in pericolo di vita.
Ma Poirot rifiuta di prestare servizio ad un losco figuro come Ratchett; il quale ha però ragione di temere per la propria vita: una notte, mentre il treno è bloccato a causa della neve, viene pugnalato a morte.
Un omicidio misterioso, la cui indagine viene resa ancora più difficoltosa dal fatto di essere bloccati in mezzo alla neve; riuscirà Poirot a scoprire anche stavolta chi è la persona che si è macchiata di questo tremendo delitto?

RECENSIONE
Agatha Christie era una grande, grandissima scrittrice, e lo sappiamo. Era soprannominata "la regina del giallo", e lo sappiamo. E anche chi non ha ancora letto Assassinio sull'Orient Express non può non sapere che è uno dei suoi romanzi più famosi, se non addirittura il più celebre in assoluto. Perché questo?
Ecco, trovo che solo chi non ha mai avuto il piacere di leggerlo può porsi questa domanda; in esso ci sono tutti gli elementi necessari per renderlo il giallo perfetto: un omicidio misterioso, sulla cui vittima veleggia un ombra maligna; un detective che ragiona fuori dagli schemi, minando ulteriormente le ipotesi di colpevolezza che tendiamo a fare; uno scenario spettacolare ed affascinante, il lussuoso Orient Express, seppure (o forse anche grazie al fatto di essere) bloccato in mezzo al nulla dalla neve; ed infine un considerevole numero di sospettati, vagliati e mentalmente accusati
ad uno ad uno dal lettore, salvo poi passare al successivo.
Credo che per evitare di darvi il benché minimo indizio che possa rovinarvi il piacere della lettura debba fermarmi qui, perché non vi è proprio nient'altro da dire: leggete Assassinio sull'Orient Express, e saranno le sue pagine a parlare.


BW

Nella nostra libreria:
Agatha Christie 
Dalla raccolta "Le grandi indagini di Poirot"
Assassinio sull'Orient Express (Murder on the Orient Express)
ed. Oscar Mondadori
206 di 670 pag.
traduzione di Alfredo Pitta

venerdì 25 luglio 2014

Dal libro al film: I Commitments - Roddy Doyle (1987)

"<<Che fai? Ti sei messo a vendere droga o roba del genere?>>
<<IOO? NO>> disse Jimmy
<<Allora che ci vengono a fare tutti 'sti coglioni a bussare alla porta?>>
<<Sto facendo dei provini.>>
<<Dei cosa?>>
<<Pro-vi-ni. Vogliamo formare un gruppo... Una band.>>
<<Chi, tu?>>
<<Sì.>>
<<E chi cazzo sei, Dickie Rock? C'è giù uno stronzetto in moto che chiede di te.>>"
Jimmy Rabbitte senior ed il figlio, Jimmy

IL LIBRO 
Barrytown, periferia nord di Dublino, anni ottanta. 
Jimmy Rabbitte è un grandissimo appassionato di musica e viene considerato da tutti come uno dei massimi esperti in materia così, quando i suoi due amici Outspan e Derek intendono dare una svolta alla propria band, si rivolgono a lui in cerca di alcune dritte.
Jimmy, ambizioso per natura, accetta così di diventare il loro manager ma chiede ai due carta bianca fin da subito. Il primo passo consiste nel licenziamento di Ray, l'attuale cantante, dopodichè il giovane Rabbitte annuncia ai due amici che è giunta l'ora di formare una band che rispecchi in tutto e per tutto il vero spirito di Dublino; un gruppo proletario che suoni musica per i proletari. Il loro genere d'ora in avanti sarà il soul, e si chiameranno Commitments, con l'articolo determinativo "The" davanti, proprio come tutti i grandi complessi degli anni sessanta.
A questo punto inizia una lunga serie di audizioni per trovare gli elementi mancanti che Jimmy recluta un po' tra gli amici del quartiere, un po' al lavoro, ed un po' tramite annunci sulle riviste specializzate.
E così abbiamo ben presto una band formata dal cantante Deco, talentuoso ma spaccone, il pianista James che suona l'organo in chiesa tra un'esame di medicina e l'altro, il timido sassofonista Dean, il batterista orfano di padre Billy, Derek al basso, Outspan alla chitarra e le tre splendide coriste Bernie, Natalie ed Imelda, tanto carine e brave quanto sboccate.
Ma colui che consente al gruppo di fare un salto di qualità arriva un giorno a bordo di una moto; è pelato, grassoccio e dimostra almeno una cinquantina d'anni. Joey "The Lips" Fagan, così dice di chiamarsi il bizzarro personaggio, suona la tromba come pochi, ha accompagnato tutti i mostri sacri del genere, da Sam Cooke a James Brown, ed afferma di essere stato mandato dal Signore a portare il soul ai fratelli irlandesi. In più Joey ha riconvertito il garage della propria madre a sala prove, ed il gioco è fatto! 
I Commitments in questo modo, dopo un buon periodo di rodaggio caratterizzato da qualche piccolo screzio dovuto soprattutto agli eccessi di Deco e presto appianati con abilità da Jimmy, sono pronti al debutto dal vivo. Che avviene in una sala ricreativa parrocchiale, per merito anche dell'opera di "convincimento" svolta da Mickah, un pazzo scatenato e violento ma molto leale con gli amici, che si ricicla ben presto come buttafuori ufficiale della band.
I Commitments migliorano concerto dopo concerto, ed attirano ormai un buon seguito di pubblico e l'interesse di alcuni giornalisti locali. Sembra dunque che la scalata al successo pianificata da Jimmy sia partita alla grande, ma quanto durerà questo stato di grazia?

IL FILM
Romanzo d'esordio di Roddy Doyle, I Commitments riceve fin dall'inizio recensioni più che entusiastiche e buonissime vendite, in virtù soprattutto della formula magica adottata dallo scrittore irlandese: trama lineare, incalzante e ritmata, personaggi tratteggiati benissimo ed una robusta e godibilissima dose di umorismo irish al cento per cento.
Così, sulla cresta dell'onda dei buoni riscontri ottenuti dal libro, qualche tempo dopo il regista Alan Parker dà il via alle riprese dell'omonimo film che uscirà nelle sale nel 1991.

  

The Commitments, pur presentando qualche piccola modifica rispetto al romanzo, si può comunque dire che sia molto fedele alla trama originaria, e non poteva essere altrimenti dal momento che è lo stesso Roddy Doyle ad occuparsi della sceneggiatura.
Bravo a cogliere l'essenza del libro, Alan Parker si limita ad inserire qualche tocco di poesia (e di retorica...) in più, che comunque non guasta, ma il suo principale merito è di riuscire a far rendere davvero al meglio una squadra di giovani attori che, in alcuni casi, non sono nemmeno professionisti veri e propri, ma semplici musicisti la cui performance davanti alla macchina da presa resterà un episodio isolato.
Manco a dirlo, tutto il film si avvale di una colonna sonora a dir poco strepitosa e, sebbene io non sia certo un appassionato di soul o rythm & blues, devo ammettere che le scene in cui la band si esibisce nei concerti suonando questi classici, risultano incredibilmente coinvolgenti e cariche di energia.
The Commitments farà incetta di Premi BAFTA ed arriverà ad ottenere una nomination agli Oscar 1992 per il montaggio, ed una come miglior film musicale ai Golden Globes. Inoltre Alan Parker grazie a questa pellicola, vincerà il premio come miglior regista al prestigioso Tokio International Film Festival del 1991.
Insomma, anche se non siete soulmen, il mio consiglio è di dare ugualmente un'occhiata sia al libro che al film, essendo entrambe le opere in grado di regalare numerosi momenti di divertimento e di evasione. E, come direbbe Joey "The Lips" Fagan:
"Aprite il vostro cuore ai Commitments, fratelli e sorelle!" 

BF

Nella nostra libreria:
Roddy Doyle
I Commitments (The Commitments)
ed. Guanda Editore
160 pag.
traduzione di Giuliana Zeuli

 
 





 

giovedì 24 luglio 2014

Vacanze in villa - Madeleine Wickham (2001)

"Un autentico paradiso andaluso, carissimi. Lo adorerete."
Gerard Lowe

TRAMA
A cosa serve disporre di una casa delle vacanze nientepopodimeno che in Andalusia se non ci si può invitare gli amici? E infatti Gerard, in uno slancio di generosità, promette la villa a Chloe e Hugh. Fin qui, nulla di strano; se non fosse che Chloe e Hugh non sono marito e moglie!
La ragazza confeziona abiti da sposa, pur non essendo sposata col compagno Philip, che sta vivendo un periodo difficile al lavoro e al quale un po' di riposo nella soleggiata Spagna non farebbe che bene.
Hugh invece ha moglie e figlie, anche se la prima sembrerebbe molto più presa dal cambio di arredamento della loro lussuosissima casa che dal marito.
Ok, d'accordo, due coppie si trovano a trascorrere le vacanze nella stessa casa durante lo stesso periodo; non c'è problema, la villa è grande e spaziosa, e le nove persone che compongono le due famiglie possono tranquillamente convivere senza intralciarsi a vicenda. Però... Però il destino ha giocato ancora più sporco, perché in passato Chloe e Hugh hanno avuto una relazione, e il passato torna a galla all'improvviso, rendendo il soggiorno ancora più ricco di imprevisti.

RECENSIONE
Se si tratta di creare dal nulla situazioni bizzarre e strampalate, la Wickham può essere superata solo dal suo alter ego Sophie Kinsella; e anche stavolta i protagonisti del suo romanzo si trovano vittime del loro passato, ma soprattutto da uno scherzo del destino.
Purtroppo, va detto subito, Vacanze in villa non è l'opera più brillante della scrittrice londinese: diversi passaggi e personaggi piuttosto scontati minano l'altissima qualità a cui ci ha abituati, viziandoci indubbiamente, e rendono la lettura meno scorrevole rispetto allo standard.
Se Becky, Milly e Fleur, tanto per citare qualcuno, le avevo considerate immediatamente alla stregua di vecchie amiche d'infanzia, di quelle con cui puoi parlare di tutto e, soprattutto, che ti fanno fare le risate più grasse e ti fanno versare le lacrime più sincere, lo stesso non mi è capitato con Chloe, Hugh, Amanda o Philip. L'unico personaggio che sembra davvero far parte del suo personalissimo pantheon di eroine è Jenna, "una tata che assomigliava più a Bob Marley che a Mary Poppins", ma sfortunatamente la sua figura è poco approfondita rispetto alle altre.
Leggendo qua e là sul web, devo dire che i fan affezionati non sono stati molto clementi con la scrittrice inglese: addirittura c'è chi dubita che sia stata effettivamente lei a scrivere quest'opera; non sono completamente d'accordo con loro: è vero che, come ho già detto, questo non è il libro che le è riuscito meglio, ma si tratta comunque di un romanzo piacevole.
In fondo, non tutte le ciambelle riescono col buco.


BW

Nella nostra libreria:
Madeleine Wickham
Vacanze in villa (Sleeping Arrangements)
ed. Mondadori Numeri Primi
261 pag.
traduzione di Nicoletta Lamberti

 

mercoledì 23 luglio 2014

Terre desolate - Stephen King (1991)

ATTENZIONE!!! Il libro di cui stiamo per parlare è il terzo della Serie della Torre Nera. Se non avete letto il precedente, intitolato La chiamata dei tre, vi sconsigliamo di proseguire con la lettura del post.


"<<Non tutto è silenzio nella dimora dei defunti. Guarda, il dormiente cammina.>>
<<Il demone...>>
<<No. È un mostro. Qualcosa che c'è fra le due porte, fra i mondi. Qualcosa che sta aspettando. E sta aprendo gli occhi.>>"
Eddie Dean e Roland di Gilead 

TRAMA
Al termine degli eventi narrati ne La chiamata dei tre, Roland e quelli che ora sono a tutti gli effetti i coniugi Dean, Eddie e Susannah, si inoltrano nei boschi alle spalle del Mare Occidentale. Qui si imbattono in Shardik, un gigantesco orso che fa da guardia a uno dei dodici portali. Dopo averlo sconfitto, Roland spiega ai compagni che vi sono dodici portali interdimensionali ai quali sono stati assegnati dodici guardiani, enormi cyborg costruiti in un lontano passato da una civiltà tecnologicamente molto avanzata. I portali sono posti in cerchio ai confini del mondo e sono uniti da dei vettori. Al centro di questi vettori sta la Torre Nera. Purtroppo però questi vettori stanno andando fuori fase e questo contribuisce a distorcere le distanze, distruggendo così questo mondo.
Nello stesso tempo i nostri devono cercare anche di entrare in contatto con Jake, un bambino di undici anni che vive nella New York del 1977, dove venne ucciso da uno psicopatico travestito da prete e che Roland aveva già conosciuto in un'altro tempo nel primo capitolo.
Dopo averlo salvato, i tre devono cercare di portarlo definitivamente nel loro mondo, chiamato ora "Medio Mondo", in quanto Jake è in possesso di alcuni oggetti molto preziosi ai fini della buona riuscita della missione e per formare così il loro ka-tet, una forma di energia molto particolare che si sprigiona tramite un qualcosa di riconducibile vagamente ad uno "spirito di squadra", volto ad unire un gruppo di persone con un destino ed un obiettivo comuni.

RECENSIONE
Terzo capitolo della monumentale saga di Stephen King, Terre desolate devo dire che è, finora, il mio preferito.
Molto movimentato e coinvolgente, questo terzo episodio che si inserisce probabilmente come libro di transizione in attesa degli stupefacenti eventi che, come il finale lascia presupporre, caratterizzeranno il libro successivo, sa regalare istanti di grande pathos praticamente dal principio alla fine.
Probabilmente meno d'atmosfera, ma molto più carico d'energia e di ritmo, Terre desolate è anche il primo volume nel quale confesso di non essere stato costretto ogni tanto a sospendere la lettura per tornare a ricontrollare passaggi od avvenimenti che non ero sicuro di aver compreso bene. 
Scorrevole innanzitutto, e poi questo romanzo si segnala anche per essere ricco di particolari e di situazioni che "Il Re" comincia sapientemente ad incastrare tra di loro come solo lui sa fare.
Non voglio assolutamente dire di più per timore di farmi sfuggire qualcosa di troppo, ma il mio consiglio è quello di non scoraggiarvi se i primi due episodi vi sono apparsi un po' monotoni (soprattutto il primo), tenete duro perchè questa è un'opera immensa che va valutata nel suo insieme.
Niente paura quindi, e proseguite il viaggio, in quanto la mia impressione è che da adesso in poi ci sarà davvero da divertirsi.

BF

Nella nostra libreria:
Stephen King
Terre desolate (The Waste Lands)
ed. Sperling Paperback
438 pag.
traduzione di Tullio Dobner