BW&BF

lunedì 4 agosto 2014

I giocatori di Titano - Philip K. Dick (1963)

"<<Cos'hai letto nel mio inconscio, Pat?>>
<<Una... sindrome di azione potenziale. Se fossi una pre-cog potrei dirti di più. Forse lo farai, forse no. Ma...>> Alzò gli occhi su di lui. <<È un atto violento, e ha a che fare con la morte.>>"
Pete Garden e Patricia McClain

TRAMA
In uno degli innumerevoli futuri imprecisati tanto cari sia a Dick, che a molti altri autori di science fiction, il numero degli abitanti della Terra si è enormemente ridotto a causa di una guerra globale che ha visto i cinesi utilizzare le temutissime Radiazioni Hinkel, rendendo in questo modo sterile la stragrande maggioranza della già esigua popolazione mondiale.
In seguito il nostro pianeta viene invaso dai Vug del pianeta Titano, una razza extraterrestre estremamente intelligente che nell'aspetto ricordano vagamente delle grosse amebe. Gli umani sopravvissuti alla catastrofe intanto si fanno asportare la ghiandola di Hynes per rallentare l'invecchiamento e giocano in modo maniacale a Bluff, una via di mezzo tra il poker ed il Monopoli, dove si possono vincere intere proprietà, città e regioni e ci si scambia anche le mogli. Tutto questo al fine di cercare di ripopolare il più possibile il pianeta attraverso le poche donne fertili rimaste, cosicchè ogni volta che una donna pesca la "fortuna", così si dice quando essa scopre di essere incinta, la notizia assume i contorni di un grande avvenimento che viene comunicato anche attraverso le radio ed i giornali.
Pete Garden è un giocatore che durante una mano particolarmente sfortunata ha appena perso sia la moglie sia l'amata proprietà di Berkeley, finita al Vincolato (padrone) di New York, un individuo disprezzato da molti per diversi motivi, di nome Jerome "Lucky" Luckman. Garden, già in preda ad una forma di depressione per non essere ancora riuscito ad avere la "fortuna" nonostante le diciotto partner che ha avuto, è disposto a tutto pur di riprendersi Berkeley. Arriva così a chiedere aiuto ad un ex campione di Bluff ridotto sul lastrico proprio da Luckman, il quale aspetta l'occasione per rifarsi con gli interessi sul rivale newyorkese.
Su tutto questo i Vug, che paiono esseri bislacchi e goffi ma pacifici, si limitano ad assicurarsi che tutto si svolga secondo le regole. Ma queste creature sono veramente pacifiche come sembrano? E se dovesse accadere qualcosa al tanto odiato Luckman ed i sospettati non fossero in grado di fornire un alibi perchè "non ricordano nulla", cosa succederebbe?

RECENSIONE 
Romanzo pubblicato nel 1963, l'anno dell'omicidio di Kennedy (evento che sconvolse profondamente Dick), I giocatori di Titano  risente a mio avviso ancora moltissimo dell'atmosfera tipica della fantascienza del decennio precedente. L'"Incubo Rosso", questa volta incarnato dalla Cina, è ancora ben presente ed il terrore di una catastrofe nucleare imminente è ancora vivo nell'immaginario della gente dell'epoca. Del resto è tutto ampiamente comprensibile, se pensiamo che la crisi della Baia dei Porci era andato in scena solo qualche mese prima.
Un romanzo di science fiction che per certi versi ricalca un po' altri lavori di Dick, soprattutto come ambientazione, ma che al contempo ci mostra un autore già proiettato nel futuro, per mezzo di alcuni elementi che qui iniziano ad essere introdotti in maniera consistente (il tema della religione, le droghe, la diversa percezione del reale), e che nelle opere seguenti dello scrittore americano verranno sviluppati massicciamente.
In più in questo libro Dick ci dà anche un piccolo saggio della propria verve ironica, solitamente poco conosciuta ma davvero notevole, creando alcuni piccoli siparietti comici tra gli umani e le macchine intelligenti, che ne I giocatori di Titano svolgono in tutto e per tutto il ruolo delle "colf" e che provvedono a tutte le incombenze domestiche.
Purtroppo però devo dire che tutto quanto di buono Dick è riuscito a creare in questo libro viene un po' scalfito ed a tratti vanificato da una trama sviluppata in maniera decisamente caotica e poco uniforme, nella quale a geniali intuizioni e colpi di scena ben congegnati si susseguono lunghe fasi di stanca durante le quali la noia la fa un po' da padrone. 
Peccato, perchè tutto sommato credo che questo, se curato adeguatamente, avrebbe potuto essere un piccolo grande capolavoro della fantascienza, e non il romanzo di transizione che in effetti è.
A scusante del grande Dick però va detto che il nostro spesso scriveva in condizioni di stress veramente insostenibili e, soprattutto durante gli anni sessanta, era letteralmente costretto a produrre il maggior numero di racconti possibile per cercare di sbarcare il lunario. Più che normale quindi che, tra i creditori alla porta e qualche editore particolarmente pressante, il povero Philip a volte fosse un po' costretto a "riscaldare la minestra".
In ogni caso da leggere, anche perchè un libro mediocre di Dick è pur sempre infinitamente migliore di tanta altra roba ben più celebrata. 

BF

Nella nostra libreria:
Philip K. Dick
I giocatori di Titano (The Game-Players of Titan)
ed. Fanucci Editore
216 pag.
traduzione di Anna Martini



domenica 3 agosto 2014

L'odissea del volo 33 - Rod Serling (1961)

"Ho avvertito qualcosa. Qualcosa di strano. Una specie di... accelerazione."
Il comandante William Farver

TRAMA
In un tranquillo pomeriggio di giugno del 1961, il volo Trans-Ocean 33 parte da Londra, destinazione: Idlewild, New York. L'aereo è un Boeing 707, il comandante, William Farver, è un esperto con un attivo di diverse centinaia di migliaia di ore di volo.
Tutto sembra sereno e tranquillo, quando all'improvviso, a poco più quaranta minuti dall'arrivo, le orecchie (o il sesto senso) di Farver gli fanno percepire qualcosa di insolito. Apparentemente non c'è nulla che non vada, ma quando l'ufficiale di rotta controlla la velocità scoprono che inspiegabilmente stanno viaggiando a 830 nodi, ovvero 290 in più del previsto, e la velocità continua ad aumentare, come se l'aereo fosse spinto da un vento fortissimo.
Il Boeing continua ad accelerare, finché all'improvviso c'è un lampo di luce bianca, abbagliante. L'aereo sussulta un po', ma in compenso si stabilizza, come se non avesse mai accelerato.
Tutto a posto allora, anzi, forse è meglio così, in pochi minuti sono riusciti ad arrivare. Perché quella che si vede è l'isola di Manhattan, giusto?

RECENSIONE
Per la prima volta da quando è nato questo blog, parliamo di un racconto breve. Vi confesso che la scelta è frutto anche della mancanza di tempo che, come forse avrete notato dal fatto che ultimamente non riusciamo più a postare verso l'ora di pranzo (ora italiana), in questo ultimo periodo ci affligge.
Ma anche se non ci fosse il fattore tempo, era mia intenzione comunque prima o poi proporre uno ad uno i racconti racchiusi nell'antologia di fantascienza Il passo dell'ignoto, a cura dei compianti Fruttero & Lucentini. Si tratta di una vera e propria chicca che ho avuto la fortuna di trovare anni fa a Torino, su una bancarella del Balon. Ero andata il giorno prima in quella bellissima città per la celeberrima Fiera del Libro, con una valanga di curricula da neolaureata, per cercare lavoro come traduttrice. Il lavoro non è mai arrivato, ma anche solo per questo libro (che tecnicamente è di BarFly, dal momento in cui gliel'ho regalato) posso dire che sia valsa la pena andare fin là.
Chiusa la parentesi torinese, passiamo a parlare de L'odissea del volo 33. Il suo autore, Rod Serling, è celebre per essere il creatore della serie televisiva Ai confini della realtà, e proprio da uno dei suoi episodi sembra uscito questo racconto.
Una premessa che forse avrei dovuto fare (troppo tardi!) è che questa storia non è adatta alle persone che hanno paura di volare. A meno che non siano masochiste come me, e decidano di leggerla ugualmente, pur sapendo che dopo potrebbero vivere con ancora più ansia ogni volo. Dev'essere quello stesso istinto che ti fa sbirciare attraverso le dita quando ti copri gli occhi durante una scena splatter in un film dell'orrore.
Il racconto comunque è scritto magnificamente, in uno stile asciutto, quasi documentaristico, che lascia ogni riflessione e considerazione al lettore. Serling è davvero bravo in questo, focalizzando tutta l'attenzione su ciò che accade, ed in questo modo si ha ancora di più l'impressione di essere lì, sul volo Trans-Ocean 33 Londra-New York, magari proprio nella cabina di pilotaggio insieme a Farver ed agli altri piloti ed ufficiali. Ma, com'è naturale per uno come lui, l'autore ovviamente non poteva proporre un banale incidente aereo: al contrario, si diverte a giocare con la fisica, con la teoria della relatività di Einstein.
Non voglio dirvi di più, il racconto è breve e se aggiungo altro praticamente vi svelo tutto. L'unica cosa che posso fare e consigliarvi nuovamente di leggere questo racconto, figlio di un'epoca in cui l'uomo davvero guardava lo spazio con ammirazione e allo stesso tempo con ansia, sognando un futuro con macchine volanti, robot dalle sembianze umane e gite della domenica su Marte e sulla luna.

BW

Nella nostra libreria:
Rod Serling
Dalla raccolta "Il passo dell'ignoto. Un omnibus di fantascienza a cura di Carlo Fruttero & Franco Lucentini"
L'odissea del volo 33 (The Odissey of Flight 33)
ed. Mondadori
18 di 630 pag.
traduzione di Eladia Rossetto

     

sabato 2 agosto 2014

Carmilla - Joseph Sheridan Le Fanu (1872)

"<<Prodigioso! [...] Dodici anni fa m'apparve in sogno il tuo volto e da allora mi ha sempre perseguitato.>>
<<Prodigioso davvero! [...] Anch'io ti ho vista dodici anni or sono, in una visione o nella realtà. Non ho dimenticato il tuo volto, da allora l'ho sempre avuto innanzi agli occhi.>>"
Carmilla e Laura

TRAMA
Laura è una ragazza di origini inglesi che vive, insieme al padre, nel loro schloss, un castello nella Stiria austriaca. Orfana di madre sin dalla più tenera età, soffre per la mancanza di coetanee con le quali trascorrere il suo tempo. È dunque con gioia che riceve la notizia che il generale Spieldorf, amico di suo padre, recherà loro visita insieme alla nipote; ma ahimè! l'improvvisa e inspiegabile morte della fanciulla le impedisce di ricevere l'amica. Poco tempo dopo però una carrozza, trainata da cavalli imbizzarriti, si schianta proprio davanti alla dimora del padre di Laura. I viaggiatori sembrano tutti illesi, ma una ragazzina di nome Carmilla, che già era convalescente da una malattia, risente dell'incidente. La madre, una misteriosa nobildonna, deve però proseguire il viaggio; Laura prega dunque il padre di ospitare Carmilla fin quando la madre non tornerà per permetterle di guarire e rimettersi.
Tra le due giovani nasce subito una profonda amicizia, che quasi sfiora un platonico amore saffico; ma Carmilla è strana, con delle bizzarre abitudini. E come se non bastasse, nel villaggio vicino uno strano morbo comincia a colpire, mietendo sempre più vittime che passano da uno stato di perfetta salute al decesso in poche notti piene di allucinazioni.
Cosa si nasconderà dietro ai segreti che cela Carmilla?

RECENSIONE
Per giudicare un libro, come credo di aver già detto, occorre innanzitutto contestualizzarlo; abituati sino alla noia come siamo oggi a libri e film incentrati su vampiri, lupi mannari e compagnia bella, un lettore che nulla sapesse di Carmilla potrebbe sorridere davanti a certe trovate dell'autore. Ma va ricordato che questo romanzo precede di un quarto di secolo il famoso Dracula di Bram Stoker che contribuì a rendere celeberrima la figura del vampiro in tutto il mondo. E allora la storia di un vampiro, anzi, una vampira come Carmilla diventa importante se non addirittura fondamentale per la storia della letteratura.
Le Fanu ha avuto poi la geniale quanto semplice intuizione di giocare con la natura del Doppelgänger anagrammando più volte il nome della protagonista per giustificarne le apparizioni nei secoli; non solo: la stessa Laura, narratrice della vicenda, è una sorta di alter-ego di Carmilla, il suo lato buono, innocente, che ancora non ha perso l'ingenuità della fanciullezza, tanto che entrambe le ragazze discendono dalla famiglia dei Karnstein. Si potrebbe dire che l'autore abbia riproposto il classico tema della dualità bene-male, elaborandolo però con questo nuovo (per allora) mostro contrapposto all'essere umano.
Un altro elemento assolutamente audace per l'epoca è inoltre il rapporto tra le due ragazze: ovviamente per motivi di censura mai si allude ad una sessualità lesbica, ma si allude piuttosto ad un amore tra sorelle, tuttavia intensissimo. Ciononostante, alla vampira sfugge una confessione che in tempi ben più moderni avrebbe fatto rizzare i peli sulla nuca a ben più di un benpensante: "Non sono stata innamorata di nessuno, né lo sarò mai [...] a meno che non si tratti di te."
Al di là comunque della sua importanza storico-letteraria, Carmilla è un romanzo godibilissimo e modernissimo nonostante il suo stile vittoriano, che credo che qualsiasi appassionato di letteratura gotica non dovrebbe farsi assolutamente sfuggire.

BW

Nella nostra libreria:
Joseph Sheridan Le Fanu
Carmilla (Carmilla)
ed. Sellerio Editore
144 pag.
traduzione di Attilio Brilli

 

venerdì 1 agosto 2014

Sunset Limited - Cormac McCarthy (2006)

"NERO: Mi sa che tu non vuoi essere felice.
BIANCO: Felice?
NERO: Sì. Felice è una brutta parola?
BIANCO: Dio santo
NERO: Che c'è? Ho toccato un tasto dolente? Cos'hai contro la felicità?
BIANCO: È contraria alla condizione umana."
Cormac McCarthy

TRAMA
L'intera storia è ambientata in uno squallido monolocale di New York. Due uomini, dei quali non conosciamo i nomi ma che vengono chiamati "Bianco" e "Nero" per il colore della pelle, sono seduti ad un tavolo e parlano.
Dalla conversazione si intuisce che Nero, un operaio ex galeotto ed ex alcolista, ha appena salvato la vita a Bianco, che aveva intenzione di uccidersi buttandosi sotto ad un treno.
Nero, profondamente religioso, cerca di dissuadere Bianco, un uomo di grande cultura ma estremamente cinico ed infelice, a ritentare l'insano gesto. 
Ne scaturisce pertanto un lungo botta e risposta su temi quali l'infelicità, il diritto al suicidio e l'esistenza di Dio.

RECENSIONE
Nato originariamente come testo teatrale rappresentato per la prima volta a Chicago nel maggio 2006, quest'opera di McCarthy ebbe un buonissimo riscontro di pubblico e di critica e venne replicata svariate volte in molte città. Nel novembre 2010 andò in scena anche a Bologna, all'Arena del Sole, mentre è del 2011 la trasposizione cinematografica curata da Tommy Lee Jones, con lo stesso Tommy Lee Jones che interpreta la parte del "Bianco" e il grandissimo Samuel L. Jackson nel ruolo del "Nero".
La lettura non è delle più semplici, proprio perchè pone il lettore di fronte a domande scomode ed inquietanti, pertanto Sunset Limited è, come molti altri lavori di McCarthy, un qualcosa da affrontare solo quando si è nella giusta predisposizione d'animo.
C'è molta filosofia in Sunset Limited, ma è un tipo di filosofia "bassa", che viene dalla strada e che tutti riescono a comprendere anche senza essere costretti a consultare i volumi dei grandi pensatori. 
E poi c'è molta, moltissima religione. O forse sarebbe più corretto dire che si tratta di un continuo dibattito su Dio visto da due persone con una visione d'insieme totalmente opposta.
Bianco e nero quindi, ma non è solo riferito al colore della pelle dei due protagonisti, probabilmente McCarthy ha voluto utilizzare questa metafora per indicare le profonde differenze tra i due.
Il libro che, a mio giudizio, per essere apprezzato appieno necessita di qualche rilettura, è in ogni caso un vero giacimento di aforismi e battute che inchiodano l'immaginazione di chi legge e che gli fa pensare più di una volta: "Ma perchè non ci sono arrivato prima? Eppure è evidente!". 
Prendetevi il giusto tempo quindi, perchè nonostante sia un racconto piuttosto breve, Sunset Limited richiede una certa tenacia. 
Un testo molto introspettivo e che comunque credo sia destinato a suscitare tantissimi interrogativi e che, almeno a me, ha lasciato una strana sensazione di malinconia e tristezza.

BF

Nella nostra libreria:
Cormac McCarthy
Sunset Limited (The Sunset Limited)
ed. Einaudi
119 pag.
traduzione di Martina Testa

 


giovedì 31 luglio 2014

Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo - Jerome K. Jerome (1895)

"Quando non giocava a tennis o si esercitava a giocare a tennis, o leggeva cose di tennis, parlava di tennis. A quel tempo, il personaggio più importante del mondo tennistico era Renshaw, e continuò a nominarmi Renshaw fino a che, in cuor mio, non crebbe un cupo desiderio di uccidere Renshaw, senza farmi né sentire né vedere, e quindi seppellirlo.
In un pomeriggio di pioggia intensa mi parlò di tennis per tre ore filate. Dopo il tè accostò la sedia alla finestra, accanto a me, e attaccò:
<<Avete mai notato il modo in cui Renshaw...>>
Io dissi:
<<Ammettiamo che uno prenda un fucile - parlo di uno con un'ottima mira - vada da Renshaw e gli spari, facendolo secco, voi tennisti riuscireste a scordarvelo e a parlare di qualcos'altro?>>
<<Oh, ma chi sparerebbe mai a Renshaw?>> disse indignato.
<<Non importa, ammettiamo che qualcuno lo faccia>>
<<Bè, allora ci sarebbe suo fratello>> rispose.
Me n'ero dimenticato."
Jerome Klapka Jerome (da 'Il cultore di hobby')

RECENSIONE
Amici generosi ma casinisti, persone altruiste fino a risultare moleste, signorine capricciose. E ancora: mogli dispotiche, bambini terribili, gatti diabolici...
È tutto racchiuso qui, in breve, il mondo di Jerome. Ed è sempre da qui che lo spassosissimo scrittore inglese prendeva spunto per i suoi divertenti racconti altamente vietati a chi è abituato a prendersi troppo sul serio. La sublime arte dello sberleffo, della presa in giro alle mode e alle manie che già allora imperversavano nel Regno Unito, il tutto raccontato con un sarcasmo spesso davvero graffiante ma mai offensivo. 
In questo volumetto di un centinaio di pagine troviamo una serie di brevi storie che Jerome scriveva abitualmente per alcune riviste con lo scopo di raggranellare qualche sterlina in più durante i periodi "di magra". Ma, sebbene non siamo certamente ai livelli altissimi di I pensieri oziosi di un ozioso o della sua opera più nota, quel Tre uomini in barca scritto quasi per scherzo, si commetterebbe un grave errore a considerare questa raccolta come un libro di "serie B" o, ancora peggio, un banale riempitivo per completare una sezione della libreria.
Già perchè, se è pur vero che in Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo sono presenti un paio di racconti un po' di maniera, va anche detto che diversi episodi sono, ancora una volta, tutti da ridere. Un esempio lampante in tal senso è senza dubbio L'uomo che "badava" oppure L'uomo distratto, stupendi resoconti delle nevrosi e delle ossessioni che già alla fine del XIX secolo colpivano l'uomo moderno, come avviene anche in L'uomo abitudinarioLo spirito di Whibley o ne Il cultore di hobby, dove viene analizzata e messa in ridicolo la frequente tendenza dell'adulto a divenire a tutti gli effetti una vittima dei propri riti, delle proprie credenze e delle proprie passioni.
Nella bellissima prefazione a questo volume a cura di Francesco Piccolo, c'è un passaggio assolutamente illuminante che credo valga la pena di riproporre:
"In tempi bui, ha più valore anche il mondo di Jerome. In tempi bui, stuzzicare buonumore, intelligenza e analogie impensabili, è una specie di beneficenza per l'umanità." 
E allora, se per caso vi sentite un po' giù pensando alle miserie dell'attuale comicità italica fatta principalmente di stantii luoghi comuni e battute squallide, lasciatevi andare, rilassatevi e fatevi condurre dalla sapiente mano di uno dei più grandi umoristi di sempre, senza deprimervi troppo perchè "non può piovere per sempre", oppure, per citare lo stesso Jerome, è risaputo che:
"Ogni medaglia ha il suo rovescio, come disse quell'uomo a cui presentarono il conto per il funerale della suocera".
Ed ora pensate a Zelig, Colorado o ai benvenuti al sud/nord e altre amenità del genere che molti hanno pure il coraggio di spacciare per "comicità intelligente".
Ok, deprimetevi pure.

BF

Nella nostra libreria:
Jerome K. Jerome
Seduto a schiacciare noci per uno scoiattolo. Storie e bozzetti in verde, blu e lavanda (Sketches in Lavander, Blue and Green)
ed. Edizioni Spartaco
109 pag.
traduzione di Giovanni Giri




mercoledì 30 luglio 2014

500 cose che mi ha detto il gatto - Adam Post (2012)

"Ebbene sì, parlo con il mio gatto. E allora? Il fatto è che... il piccolo tiranno l'adorabile creatura è così espressiva che sembra rispondermi."
Adam Post

RECENSIONE
Leggendo le prime, accattivanti righe di 500 cose che mi ha detto il gatto non si può non incuriosirsi e provare l'irrefrenabile desiderio di scoprire cosa si cela dietro questo curioso titolo.
Ebbene, ESATTAMENTE QUELLO CHE DICE: 500 "aforismi", o immaginarie citazioni, imputate ai gatti da migliaia e migliaia di padroni in tutto il mondo.
E così, si va da:
"20 Prendimi in braccio"
a:
"21 Okay, adesso puoi rimettermi giù"
"22 Ho detto adesso!!!"
e così via, per 500 brevi frasi.
L'idea di per sè è anche carina, e sicuramente ai possessori di questi strani esseri pelosi strapperà qualche sorriso, perché davvero i mici, a volte, sembra che ti parlino, non solo con i loro miagolii, ma anche e soprattutto con il linguaggio del corpo.
Fatto sta però che dopo un po' (almeno questo è valso per la sottoscritta) ci si stufa, e viene da riporre il libro, senza troppi rimorsi. Nell'introduzione l'autore dice di aver eliminato nella seconda edizione le foto che erano presenti nella prima (erano comunque solamente tre); al loro posto, accanto o sopra ogni aforisma, c'è un piccolo disegno di un gatto. Ahimé, però, il disegno non rispecchia affatto, come avevo creduto in un primo momento, la relativa frase, bensì è fine a sé stesso: un vero peccato, perché il contrario avrebbe reso molto più interessante l'opera, che avrebbe potuto essere utilizzata come una sorta di "dizionario" felino-umano.
Il libro può comunque essere un'idea originale come regalo da fare ad un gattofilo, anche se va detto che non è proprio portafoglio-friendly: 8,90 € sono un filo eccessivi per un'opera di questo genere. Almeno, così mi ha detto il mio gatto.

BW

Nella nostra libreria:
Adam Post
500 cose che mi ha detto il gatto (500 things my cat told me)
ed. Magazzini Salani
167 pag.
traduzione di Silvia Banterle

martedì 29 luglio 2014

L'incanto del lotto 49 - Thomas Pynchon (1966)

"Forse alla fine sarebbe stato questo a ossessionarla di più: come tutto, logicamente, si combinava. Quasi che (lo aveva già indovinato in quel primo minuto a San Narciso) fosse in atto attorno a lei una rivelazione."
Thomas Ruggles Pynchon

TRAMA
La vita della casalinga californiana Oedipa Maas, sposata con il deejay radiofonico Wendell Maas, detto Mucho, viene stravolta il giorno in cui scopre di essere stata nominata esecutrice testamentaria da parte di Pierce Inverarity, ricchissimo imprenditore nonchè suo ex fidanzato.
Oedipa parte così per San Narciso, cittadina in cui si dovranno espletare tutte le relative pratiche e dove viene contattata dal co-esecutore, l'avvocato Metzger, bellissimo e con un passato da baby star di Hollywood. Per la giovane casalinga inizia così un'avventura a dir poco surreale dove, seguendo una lunga serie di indizi, verrà a conoscenza di una cospirazione vecchia addirittura di secoli.

RECENSIONE
Sapevo che non sarebbe stata una passeggiata confrontarsi con un lavoro di Thomas Pynchon, da più parti considerato il padre della cosiddetta letteratura postmoderna, ero stato ampiamente avvertito in tal senso, però alla fine ho deciso di tentare ugualmente ed, ahimè, devo dire che ho perso la scommessa con me stesso. Qual'era la suddetta scommessa? Semplice: leggere e capire un libro dell'autore americano più schivo ed impenetrabile di sempre. Ho scelto così il romanzo che tutti gli esperti indicano come il più adatto per prender confidenza con lo stile schizoide di Pynchon, L'incanto del lotto 49, e mi vedo costretto ad ammettere che, purtroppo, non ci ho capito nulla. 
Leggo sulla rete elogi sperticati a questo autore e al valore di quest'opera (cose che non metto minimamente in discussione, sia chiaro) e mi sento davvero un povero stupido, possibile che sia l'unico ad averne ricavato nient'altro che un gran mal di testa? Intendiamoci, io non mi ritengo un critico o un esperto ma solo uno a cui piace leggere (anche cose coraggiose e fuori dagli schemi, come è senz'altro in questo caso), però dovendo dare un mio giudizio su L'incanto del lotto 49 non sarei onesto se dicessi che sono riuscito a cogliere ogni sfumatura e/o riferimento presenti in questo testo. 
Potrei mettermi a tessere le lodi della straordinaria inventiva dello scrittore di Glen Cove, del suo modo impareggiabile di trascinare il lettore all'interno di una lunga serie di scatole cinesi, potrei scopiazzare alla carlona la recensione di qualche critico illuminato tanto per darmi un tono di grande intenditore e di persona acutissima, ma il problema è che non farei altro che raccontare un sacco di balle. 
E allora preferisco passare da ignorante, ma onesto. Io non dico che questo libro sia bello o brutto, semplicemente perchè non sono riuscito a capirlo. Limite mio, ci mancherebbe... Evidentemente mi sono cimentato con qualcosa che attualmente va al di là delle mie possibilità. Cose che capitano. Sarei solo curioso di sapere tra tutti coloro che affermano che di questo romanzo si parlerà anche tra tre secoli e che paragonano Pynchon a qualcosa di simile ad un supergenio, in quanti abbiano davvero compreso il senso de L'incanto del lotto 49. Io non ne sono stato in grado e lo confesso sinceramente.

BF

Nella nostra libreria:
Thomas Pynchon
L'incanto del lotto 49 (The Crying of Lot 49)
ed. Einaudi Stile Libero
174 pag.
traduzione di Massimo Bocchiola